COSA SIGNIFICA "FARE GLI EUROPEI"?



Il processo di allargamento porta senz'altro vantaggi di natura economica in quanto determina un ampliamento del mercato unico, con libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali, delle persone. Esso garantisce, inoltre, una serie di politiche sociali condivise (quindi svolte per assicurare diritti e maggior protezione sociale ai cittadini europei) nonché finanziamenti alle regioni meno ricche per uno sviluppo armonico dell'Ue. Una legislazione europea, (che ha la forza di prevalere sulle leggi nazionali), che stabilisce uguali diritti e doveri agli Europei nei settori e nelle materie che sono di competenza dell'Unione, costituisce un ulteriore aspetto positivo di tale processo.

L'allargamento, però, rischia di far perdere coesione, capacità di azione all'Europa. Alcuni esempi lo dimostrano. L'adesione all'Euro, in primis: solo dodici Paesi su venticinque possiedono la moneta unica, inoltre, alla zona Schenghen (cioè l'area in cui si ha il libero passaggio da uno stato all'altro) ancora molti paesi non fanno parte.
L'Europa, inoltre, non riesce ad avere una politica estera comune: nelle sue azioni di peace keeping (di mantenimento della pace, di ordine pubblico, della ricostruzione in zone o ex zone di guerra) non è appoggiata da tutti gli Stati membri. La questione dell'Iraq è eclatante in tal senso: otto Paesi hanno sottoscritto una lettera di sostegno alla politica americana prima dell'intervento militare, altri si sono radicalmente dissociati da questa scelta.

Anche l'idea europea del progresso scientifico, il desiderio di avere una ricerca e un'innovazione tecnologica forti, in grado di competere con gli Stati Uniti e il Giappone, restano un'ambizione sprovvista di forti mezzi finanziari e di risorse adeguate. Ogni volta che un Paese sta per entrare o entra nell'Unione europea mostra entusiasmo, in quanto l'Europa, ancor più degli Stati Uniti, è simbolo di democrazia, libertà, benessere. Una volta, però, che il processo si è compiuto vengono dimostrate freddezza, delusione, i Paesi diventano, cioè, "euroscettici".

All'origine di questo atteggiamento ci sono tre motivazioni: riduzione dei fondi, burocrazia, nazionalismo. Gli Stati dell'Unione, anche quelli più ricchi, sono sempre meno disposti a versare contributi alla Ue e quindi le risorse sono inferiori alle aspettative. La burocrazia comunitaria (tutto il sistema di controllo, delle procedure da affrontare per ottenere i fondi comunitari) è estremamente pesante, lunga. Ci sono controlli capillari, per cui gestire un fondo comunitario diventa estremamente complicato, tanto da dover ricorrere, in alcuni casi, a delle società specializzate.
Inoltre all'interno dell'Unione, i Paesi più grandi (Francia, Germania, ecc.), con il peso della loro forza economica e politica, impongono la direzione di marcia delle politiche più importanti della Ue, e gli Stati più piccoli si sentono prevaricati. Molti di essi, non avendo avuto in passato sovranità piena (in quanto sotto il controllo dell'Unione Sovietica) non sono più disposti ad adeguarsi a decisioni non condivise (atteggiamento rispettabilissimo che però, di fatto, diminuisce la capacità decisionale della Ue). Oggi il processo di sviluppo dell'integrazione europea si trova, quindi, ad un punto morto. Se vogliamo andare avanti, se vogliamo evitare che nuovi Paesi siano entusiasti prima e delusi dopo, dobbiamo metterci d'accordo su cosa vogliamo che la Ue diventi e faccia nei prossimi anni!

"Abbiamo (quasi) fatto l'Europa, ora facciamo gli Europei!"