RELIGIONE E POLITICA IN BOSNIA-ERZEGOVINA
da www.osservatoriobalcani.org



Uccidere, dimenticare e perdonare in nome di Dio
E alla fine ci fu la luce. Dopo cinquant'anni di buio. Così si diceva in Bosnia Erzegovina dopo le prime elezioni democratiche del 1990. Con quei 50 anni di buio si intendeva il comunismo. Inizialmente molti si dissero contenti che quell'orco di comunismo se ne fosse andato via. Si diceva che finalmente era possibile esprimersi liberamente, dire e fare ciò che si voleva e andare persino tranquillamente in chiesa. E prima non si poteva fare? Per la verità, nella ex Jugoslavia non era vietato professare la propria religione e frequentare i luoghi di culto, ma questo voleva dire non poter entrare nel partito comunista e quindi rinunciare ad un'alta posizione nella società. Comunque, con l'addio al comunismo la religione entra in Bosnia Erzegovina dalla porta principale. Si inizia a festeggiare in grande il Natale e la fine del Ramadan come se si volesse recuperare tutto il tempo perso.
Riguardo alla religione, la situazione era complessa in tutta la ex Jugoslavia, ma in Bosnia lo era in modo particolare per la forte presenza sul territorio delle tre religioni monoteiste (ebraica, cristiana cattolica e ortodossa, musulmana) che durante il conflitto hanno poi influenzato molto popolazione e politici.

Islam: radicalizzazione conseguente alla guerra?
Rispetto ai musulmani, va detto che prima della guerra in ex Jugoslavia non erano mai stati grandi credenti. Era stato il presidente Tito a riconoscere per la prima volta ai musulmani il diritto di nazionalità, proprio come agli altri gruppi costituenti la popolazione della Jugoslavia. Mentre nella Bosnia del nord esistevano ancora musulmani abbastanza professanti, in Erzegovina la situazione era totalmente diversa. Nella zona di Mostar molte moschee erano state addirittura trasformate in musei, perché i fedeli che le frequentavano erano pochissimi.
Con l'inizio della guerra la fede purtroppo comincia ad essere qualcosa di più: strumento di distinzione dagli altri.
I musulmani, rimasti fra due fuochi abbastanza forti, quello ortodosso e quelli cristiano, si adeguano agli eventi e il ritorno alla fede diviene subito vitale. Con lo sviluppo del conflitto l'Islam diviene sempre più importante.
Ad esempio, prima della guerra durante il Ramadan erano in pochi a rispettare il digiuno. Con l'inizio della guerra il digiuno diviene quasi un obbligo e il recupero di comportamenti dettati dalla fede si ripercuote anche nelle abitudini alimentari, dove viene bandita la carne di maiale, così come i superalcolici.
Si dice che il rafforzamento dell’Islam in Bosnia Erzegovina sia avvenuto solo come reazione alla nascita di due nazionalismi, quello serbo e quello croato, ma non basta.
C'erano molti bosniaci che desideravano trasformare il proprio paese in uno stato ad esclusiva presenza musulmana, ma erano altrettanto numerosi coloro che pensavano che l'Europa non avrebbe mai permesso una Bosnia così concepita.

La Chiesa cattolica tra silenzio e connivenza
La religione cattolica era stata dominante in alcune regioni della Bosnia Erzegovina anche durante il periodo comunista. Ma con l'inizio della guerra essa assume sempre più importanza in città dove prima aveva un ruolo del tutto marginale.
All'inizio del conflitto bosniaco è evidente l'identificazione della nazionalità con la religione, ma ancora più evidente è l'atteggiamento assunto da molti cattolici: "Sono prima croato e poi cattolico".
L'atteggiamento ufficiale della Chiesa è quello del silenzio.
Interessante il caso di Medjugorje, paese a pochi chilometri da Mostar dove si dice sia apparsa la Madonna. Ancora negli anni ottanta, da villaggio povero e disperso dell'Erzegovina che era diventa luogo turistico, in cui crescono come funghi case, ristoranti, negozi e dove la gente si arricchisce rapidamente. Durante la guerra, mentre la parte musulmana di Mostar subisce terribili bombardamenti e patisce la fame, Medjugorje fiorisce sempre più e la maggior parte degli aiuti umanitari si ferma lì. Cibo, vestiti e quant'altro vengono distribuiti da Medjugorje fino alla parte ovest di Mostar.

Chiesa ortodossa e nazionalismo serbo
La chiesa ortodossa è sempre stata molto importante nell’ex Jugoslavia sia per i serbi della Serbia così come per gli abitanti di quella che durante la guerra divenne la Repubblica Srpska di Bosnia Erzegovin.
La memoria del glorioso passato del popolo serbo viene in qualche modo affidata alle più importanti figure della comunità ortodossa: "La politica fa parte dello stesso essere della Chiesa, poiché la religione cristiana non è solo una questione privata" disse una volta il vescovo Irinej Pavlovic.
Il prete ortodosso Vojislav Cavkic, detto Zuco, durante tutta la guerra indossava la divisa mimetica e da un cannone bombardava Sarajevo. Nel 1994 ad un giornalista che gli chiese il motivo delle sue azioni rispose: "Dio sa quanto è grande la disgrazia che ci colpisce e sono sicuro che lui sta dalla parte dei Serbi”.
Per non parlare poi del massacro di Srebrenica, commesso alla vigilia della festa ortodossa di San Pietro (12 giugno 1995) e "regalato" dal generale Ratko Mladic "al suo popolo in onore della festività".

In conclusione
Con la fine della guerra in Bosnia, si parla sempre più della convivenza tra i tre popoli fino a ieri nemici. La convivenza, anche se sembra imposta, è un obiettivo da perseguire e che molti auspicano. Quindi le divisioni, la non accettazione delle differenze e la mancanza di rispetto, devono essere sostituiti dalla tolleranza.
Oggi si deve dimenticare e perdonare, proprio come Dio insegna.
Lo stesso Dio in nome del quale in tutti questi anni difficili e violenti si uccideva, con grande facilità.



A cura di Roberta Giorgini e Fabrizio Marsich