LE RELIGIONI POTENZIALI AGENTI DI CONFLITTO
da Paolo Naso direttore della rivista “Confronti” e della rubrica televisiva "Protestantesimo"


Il fattore R
Le religioni occupano uno spazio sempre più rilevante nel quadro geopolitico dell’area mediterranea. Basta passare in rassegna le aree di crisi più recenti e a noi più vicine per verificare che dall’Egitto al Medio Oriente, da Cipro all’Algeria, dalla Bosnia al Kosovo, il fattore religioso è uno dei principali agenti di conflitto.
Tra i simboli più efficaci che descrivono questa situazione, molti hanno giustamente individuato il ponte di Mostar, una splendida infrastruttura risalente alla presenza turca nell’area dell’Erzegovina, che per secoli ha collegato la riva croato cattolica con quella bosniaco musulmana del fiume che attraversa la città. Questo piccolo ponte, certamente privo di qualsiasi interesse strategico militare ma assai carico di valenze culturali e storiche, è stato uno dei primi obiettivi a cadere sotto i colpi dei mortai della prima fase della guerra di Bosnia.
Colpire e distruggere un ponte che collega due rive, due culture, due fedi, equivale a costruire un muro di separazione tra due comunità che, cessando di comunicare, si separano e si spingono reciprocamente verso una tragica e aggressiva autosufficienza.

I fondamentalismi
La tendenza delle religioni, cioè delle strutture ufficiali con cui le diverse comunità di fede si rappresentano, è quella di autoassolversi e di dichiararsi vittime di una strumentalizzazione politica delle loro verità più profonde ed assolute.
Indubbiamente esistono elementi di inquinamento politico dell’identità religiosa e con troppa facilità si danno per scontate associazioni improprie ed irrispettose delle tradizioni religiose.
Nella comunicazione di massa, ad esempio, fatichiamo ancora molto a spiegare che non esiste solo un fondamentalismo - quello islamico - ma che subiamo la minaccia dei fondamentalismi, rigorosamente al plurale, ovvero di quelle tendenze radicali, esclusiviste e violente che si possono affermare in tutte le comunità di fede: nell’islam come nel cristianesimo, nell’ebraismo come nell’induismo. Fatichiamo anche a spiegare che, se il fondamentalismo islamico come quello cristiano o quello ebraico costituiscono una minaccia per la convivenza e il pluralismo confessionale propri di ogni democrazia compiuta, non tutto l’islam così come non tutto l’ebraismo o il cristianesimo sono fondamentalisti.
Tuttavia è vero che, in assenza di riferimenti ideologici autorevoli, le religioni offrono bandiere ambite per legittimare culturalmente o eticamente politiche in sé assai fragili.
Detto questo, però, le religioni - nell’accezione sociologica che abbiamo indicato prima - non possono sottrarsi alla loro responsabilità storica: per secoli esse sono state esplicitamente ed intenzionalmente fattori di conflitto: quando hanno predicato il disprezzo dell’ebreo o quando hanno armato delle crociate per conquistare potere e privilegi, quando hanno teorizzato la purezza del sangua o hanno avallato la pulizia etnica, quando hanno benedetto i pogrom o hanno impedito il libero esercizio del culto alle minoranze.
Il filo rosso dell’intolleranza religiosa costituisce insomma un campo di indagine che si presterebbe ad interessanti approfondimenti.