L’emergere di un’idea unitaria in Europa
L’idea dell’Europa
unita è un concetto che si è sviluppato nel lungo periodo, attraverso epoche
diverse.
Già nell'età classica
erano presenti divergenze sostanziali tra Europa e Asia, e c'era consapevolezza
delle diversità culturali e politiche che animavano i due territori.
Con l'epoca romana si
introdusse anche il concetto d'uniformità politica, pur nella diversità e
molteplicità dei popoli sottomessi a Roma, e questo concetto rimase anche dopo
la fine dell'impero attraverso il diritto romano e l'idea di legalità ad esso
legata.
Perciò l’Europa e i
suoi popoli simboleggiavano valori di libertà in opposizione al dispotico mondo
asiatico. Ci sono però molti dubbi sul fatto che durante questo periodo
tumultuoso questa ipotetica coscienza
europea non sia mai venuta meno.
Alcuni sostengono che
solo successivamente, durante il Medioevo, con la fondazione del Sacro Romano
Impero si crea una prima linea politica per costituire un sistema politico
europeo il quale troverà riscontro nelle antiche radici cristiane. Intanto,
all'interno della cornice universale dell'impero cominciano a profilarsi le
prime identità nazionali e la competizione fra gli stati crescerà con le
scoperte geografiche e la conseguente corsa alla colonizzazione e allo
sfruttamento delle risorse dei nuovi immensi territori del continente
americano.
Non tutti sono
d’accordo sul ruolo da attribuire storicamente al cristianesimo, infatti a
seconda delle opinioni, viene di volta in volta considerato come collante o
come motivo di divisione: nella prima ipotesi si fa risalire all’epoca di Carlo
Magno il tentativo di unire la comunità cristiana, nonostante profondi
contrasti, dando così dignità alla tesi delle radici cristiane dell’Europa.
Altri invece trovano
nell’universalismo cristiano un motivo di crisi del concetto d’Europa, che
invece rifiorirà nel corso del Rinascimento, grazie a Machiavelli e alla
diffusione di una visione laica della politica.
In questa visione, la
spaccatura portata dalla Riforma protestante sortirà effetti positivi:
contribuì a sostituire all’unità religiosa quella culturale d'Europa,
rendendola un corpo a sé stante ed evidenziandone le peculiarità e le proprie
caratteristiche politiche, sociali, culturali e con una propria tradizione.
Nel corso del
Cinquecento e del Seicento, la questione si allargò, stimolata dal confronto
dell’emergente realtà americana, e al conseguente diffondersi della teoria che
sosteneva il diritto di ogni popolo all’autodeterminazione.
Infatti, di fronte a
tensioni e guerre continue, menti illuminate non solo dei pensatori ed uomini
di cultura, ma anche governanti e protagonisti degli scontri politici e
militari, si fanno portatori, dell’esigenza di definire assetti politici ed
istituzionali nuovi, non a livello statale, ma a livello europeo.
Con l’Illuminismo si
aprì un’altra discussione, ovvero la possibilità di accogliere anche la Russia
come paese europeo, in opposizione alla crescente differenziazione fra diversi
stati europei, in nome del relativismo culturale che caratterizzava questo
movimento. Veniva allo stesso tempo teorizzata da Kant la prospettiva di una
federazione europea, il cui fine fosse il raggiungimento della pace nel
continente.
Intellettuali come
Montesquieu e Voltaire insistettero inoltre sull'identità e sulla centralità
dell'Europa nell'epoca moderna sia sul piano economico sia su quello politico.
Soprattutto Voltaire riconosce che l'Europa costituisce anche un'unità
politica, nel senso d'avere principi giuridici e politici condivisi,
sconosciuti nelle altre parti del mondo e fra questi il principio d'equilibrio
fra gli Stati. Le loro tesi si scontravano però con le lotte fra gli emergenti
Stati nazionali.
L'idea moderna di
Nazione si rafforzò con Rousseau e con la sua concezione dello stato come
espressione di un popolo capace di esprimere una volontà comune, e perciò
incompatibile con l’idea di un’Europa unita.
Nonostante ciò, le
tesi europeiste continuarono ad essere ribadite nel corso di tutto l’Ottocento,
nonostante le guerre che si susseguirono per lungo tempo dalla seconda metà del
secolo in poi.
Oltre ai nazionalismi
e agli Stati divisi da antagonismi implacabili, che sfoceranno nella prima
guerra mondiale, si svilupperà anche una corrente di pensiero contraria,
sostenuta dall’idea diffusa di declino dell’Occidente, propugnata tra gli altri
da Nietzsche, che definiva polemicamente l’Europa come una propaggine
dell’Asia.
Solo dopo il secondo
conflitto mondiale i leader europei riuscirono a trovare i presupposti politici
che permettessero di strutturare una reale cooperazione fra i vari paesi.
Il primo passo
concreto in questa direzione risale al 9 maggio 1950, quando il ministro
francese degli Affari esteri Robert Schuman propose di creare la Comunità
europea del carbone e dell’acciaio, alla quale aderirono Belgio, Germania
occidentale, Lussemburgo, Francia, Italia e Paesi Bassi. In questo modo le
materie prime della guerra passavano così sotto il controllo di un’autorità
comune, assumendo perciò un forte valore simbolico, rendendole strumenti di
riconciliazione e di pace.
L'Unione europea in
seguito si è gradualmente ingrandita grazie a nuove adesioni che si sono
succedute nel corso del tempo. Danimarca, Irlanda e Regno Unito sono diventati
Stati membri nel 1973, seguiti dalla Grecia nel 1981, da Spagna e Portogallo
nel 1986 e da Austria, Finlandia e Svezia nel 1995.
Bisogna dire che in
realtà, per la maggior parte, si trattarono soprattutto di decisioni prese
dall’alto, con scarsa partecipazione popolare, data anche l’impossibilità
dell’Europa di ritagliarsi un ruolo credibile durante la Guerra Fredda.
Del resto, solo con la
caduta del muro di Berlino, i temi europei sono diventati di reale attualità,
tenendo conto anche del nuovo assetto democratico dei paesi dell’Est.
Il trattato di
Maastricht, risalente al 1992, è stato infatti
una tappa fondamentale, in quanto ha introdotto nuove forme di
cooperazione tra i governi degli Stati membri, ad esempio in materia di difesa,
giustizia o per quanto concerne gli affari interni.
Aggiungendo questa
forma di cooperazione intergovernativa al sistema comunitario esistente, il
trattato ha
ufficialmente creato l'Unione europea.
Dal 2004 sono
diventati membri dell’Unione altri dieci paesi dell'Europa orientale e
meridionale: Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania,
Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia. L'Europa unita sarà un continente più
forte, democratico e stabile, e verrà a costituire il più esteso blocco
commerciale del mondo.
Questo porterà ad un
mercato unico di circa 500 milioni di persone, con tutti i vantaggi ma anche i
rischi che esso potrà comportare, considerato che a fronte di quasi 100 milioni
di nuovi cittadini, il PIL totale aumenterebbe al massimo del 5%. Nonostante
gli enormi sforzi effettuati dai nuovi paesi membri, la loro integrazione nelle
strutture e nei programmi esistenti sarà un compito delicato.
Se l'estensione
all'intero continente europeo di pace, sicurezza e democrazia, il moltiplicarsi
delle prospettive di crescita economica per i nuovi Stati membri e l'apertura
di nuovi sbocchi economici per gli altri paesi europei rappresentano grandi
vantaggi guardando al processo di allargamento in atto, le varie questioni
(istituzionale, della redistribuzione dei fondi, del bilancio UE) sulle più
importanti politiche comuni costituiscono i punti su cui più ci si interroga.
Il processo
d’allargamento in cui si trova attualmente impegnata l'Unione Europea non è il
primo degli ampliamenti che ne hanno caratterizzato la storia. Il contesto geografico,
politico, sociale in cui viene a realizzarsi, le caratteristiche atipiche delle
varie economie coinvolte, la differenza di ricchezza dei nuovi paesi rispetto
agli attuali membri, sono però tali da porre l'UE di fronte a problematiche
molto complesse.
In seguito al crollo
dell'Unione Sovietica e alla fine della guerra fredda, la modificazione del
vecchio ordine geopolitico ha consentito una forte accelerazione del processo
d’integrazione europea, soprattutto per quanto riguarda i paesi di cultura slava.
Lo scopo
dell’allargamento non è però solo quello di unire culture così diverse, infatti
le istituzioni preposte si preoccupano soprattutto di riuscire ad aiutare i
paesi economicamente arretrati e che hanno conosciuto la democrazia in tempi
relativamente recenti.
Le disparità hanno
cause diverse: possono dipendere da persistenti svantaggi imputabili alla
lontananza geografica o da cambiamenti socio-economici più recenti, oppure da
una combinazione di tali fattori. Tali situazioni di svantaggio si traducono
spesso nell'arretratezza sociale, in sistemi scolastici di qualità scadente, in
un più alto tasso di disoccupazione e nell'inadeguatezza delle infrastrutture.
In sostanza oggi lo
scopo è quindi l'abbattimento del divario fra i ricchi e i poveri dello stesso
continente. Per realizzare ciò l’UE si pone un obbiettivo ancora più specifico:
incoraggiare l’adesione dei paesi dell’area balcanica. Sono già in corso
negoziati con Croazia, Bulgaria e Romania, al fine ultimo di riuscire
finalmente a stabilizzare un'area storicamente teatro di tensioni
internazionali e conflitti sanguinosi che hanno influenzato, talvolta
drammaticamente, anche il Friuli Venezia Giulia.
L’UE si preoccupa
anche di favorire una migliore integrazione anche al suo interno, e a questo
proposito è interessante evidenziare la cosiddetta proposta neo-regionalista,
che prevede la creazione di grandi regioni sovranazionali.
Questo va ad intaccare
il modello, peraltro già in crisi, dello stato-nazione, a favore delle realtà
culturali locali, superando barriere nazionali per lo più politiche. Lo scopo è
di modificare l’assetto comune dello Stato centralizzato,e di creare con questo
una rete sociale condivisa.
Tutto ciò è
subordinato al processo, tuttora in atto, d’integrazione economica, che riguarda,
nell’ordine:
Il fine è quello di
ottenere l’integrazione delle strutture produttive e politiche, il che è un
risultato importantissimo, ma ancora disatteso, anche a causa della strenua
difesa che continuano ad operare molte nazioni per tutelare interessi
particolari.
È stato anche posto il
problema dell’identità nazionale, in quanto è chiaro che ogni democrazia si
basa su di essa, costituendone il risultato della presa coscienza di un popolo
in quanto tale.
Questo riguarda in
particolare la nostra regione, per decenni relegata a confine esterno
dell'Unione, si troverà faccia a faccia con dieci nuovi paesi, tra cui la
vicina Slovenia. In particolare in Friuli sarà evidente il posto che andrà ad
occupare la cultura slava all’interno degli equilibri continentali, finora caratterizzati
da due “schieramenti” talvolta contrapposti: i popoli anglo-sassoni da una
parte e quelli di origine greco-latina dall’altra.
Nelle ricerche più
recenti sull’identità e sulle identità europee, delle singole nazioni come del
continente intero, emerge comunque un tratto costante: l’immagine di un
continente senza confini rigidi, che è sempre stato sede di migrazioni, di
interazioni, di ibridazioni, di contrasti, di conflitti fra popoli e stirpi
differenti, che della diversità di radici ha fatto un elemento essenziale
(anche se spesso problematico) per i suoi sviluppi culturali e politici. In
nessun luogo, nella storia europea, vi è stata una “purezza” etnica e culturale
assoluta e originaria.
È questo il contesto
di idee in cui sta attualmente emergendo la prospettiva di una storia d’Europa
e delle identità europee. Sono avanzate ipotesi innovative e sono intavolate
feconde controversie sull’origine, sulle migrazioni e sulle diversificazioni
dei popoli indoeuropei; sulle loro relazioni con i popoli non indoeuropei con i
quali hanno interagito nel corso dei millenni; sulle relazioni fra Europa,
Medio Oriente, Asia Centrale, Mediterraneo; sulle relazioni fra lingue, culture
e spiritualità; sulla possibilità di affrontare in nuovi termini la controversa
questione dell’origine del linguaggio.
Dato che L’Europa non
si può riconoscere in un unico popolo, ma piuttosto in un insieme di diverse
etnie, l’unico modo per raggiungere un’identità condivisibile è che i vari
popoli, senza rinunciare alle proprie differenze, facciano tutti riferimento ad
una, per ora ipotetica, cultura comune europea.
Questa è la forma di
collaborazione che più si avvicina al concetto utopistico di popolo europeo. Si
tratta cioè di riuscire ad assumere un’identità politica comune che cementi una
volontà collettiva, che possa esprimersi a livello politico con solidi partiti
europei che non rappresentino meri interessi nazionali.
Un passo importante in
questa direzione è stata l’approvazione della Costituzione dell’Unione Europea,
a conclusione di estenuanti trattative. A detta di molti si tratta di un testo
di compromesso, ma è innegabile che consenta di raggiungere importanti
obiettivi: migliorare la governabilità delle istituzioni e rendere l’Unione
soggetto di pieno diritto nella realtà internazionale.
Elena
Basiacco