Le infrastrutture stradali e ferroviarie
La politica delle infrastrutture come premessa di industrializzazione era il modello di rinascita che i friulani avevano sperimentato con l'Unità d'Italia. La ferrovia Pontebbana e il Canale Ledra-Tagliamento, realizzati in tempi incredibilmente brevi, erano stati accompagnati da centri di ricerca e studio di cui l'Istituto tecnico "Antonio Zanon" , la "piccola Università di Udine", fu emblema. Uno schema del tutto analogo a quello che nel 1866 Quintino Sella aveva adottato per il risorgimento del Friuli fu approvato all'unanimità dal Consiglio regionale nella seduta del 1 febbraio 1977. Il documento base della ricostruzione abbinava il potenziamento dell'istruzione superiore e l'istituzione dell'Università di Udine soprattutto alla ristrutturazione della grande viabilità, sostegno irriducibile dell'industrializzazione diffusa della regione.
Il potenziamento delle infrastrutture stradali, autostradali e ferroviarie di interesse internazionale prevedeva anzitutto l'ammodernamento e raddoppio della ferrovia Pontebbana da Udine a Tarvisio, quindi il completamento dell'autostrada da Stazione per la Carnia a Coccau, l'ammodernamento delle statali 13 nel tratto Pontebba- Malborghetto e 251 Maniago-Barcis, infine la realizzazione del traforo di Monte Croce Carnico e di "una infrastruttura viaria occidentale di collegamento pedemontano" (Cimpello-Sequals-Gemona).
La vecchia ferrovia pontebbana fu mantenuta in efficienza fino al completamento della nuova. Attualmente una pista ciclabile quasi completata ne occupa il sedime e tocca le stazioni abbandonate di Moggio, Resiutta, Chiusaforte, Dogna, Pietratagliata. La nuova ferrovia che corre quasi sempre in galleria da Moggio a Pontebba, da Pontebba a Tarvisio, consente alte velocità e maggiore frequenza di convogli. Le potenzialità della linea sono solo parzialmente sfruttate anche perchè lo sviluppo dei porti adriatici non è ancora in atto, perchè autostrada e superstrada assorbono parte dei traffici, perchè le regioni balcaniche hanno assunto nuovo valore dopo la caduta del muro di Berlino. L'autostrada, realizzata con criteri ingegneristici analoghi a quelli della ferrovia quanto a trafori e viadotti, fu portata a termine nel 1986. Il casello di Osoppo, aperto tardivamente per contrasti tra Comuni, precede quelli di Carnia, Pontebba e Tarvisio.
I tratti Udine-Tolmezzo, Udine-Tarvisio ora possono essere percorsi in tempi di molto ridotti rispetto al 1976. La statale 13 Pontebbana completamente rifatta da Tricesimo a Coccau è via senza pedaggi moderna e veloce.
Carlo Comin,
esperto di grande viabilità stradale e ferroviari.
Tricesimo, 1 aprile 2016
Le gallerie della Maniago-Barcis hanno risolto il problema del traffico in Valcellina, dell'eventuale accesso alla valle del Piave via Longarone. Mentre la pedemontana occidentale, realizzata da Cimpello a Sequals per il completamento verso Gemona, presenta sempre nuovi ostacoli, il traforo del Monte Croce Carnico è progetto abbandonato anche per effetto delle diverse strategie trasportistiche austriache.
Le arterie stradali che avrebbero dovuto incoraggiare i movimenti di merci e persone dall'Adriatico all'Europa centro-orientale hanno svolto e svolgono il loro compito pur senza esaurire le proprie potenzialità. Il giudizio può diventare più difficile se si considerano i benefici che le valli alpine ne hanno ricavato. La ricostruzione non ha premiato le aree già in crisi economica e demografica, ma piuttosto ne ha assecondato l'abbandono.
Dogna i cui chiouts, casali in quota, sono stati integralmente rifatti, è sovrastata dalla Statale 13, che sembra guardare l' abitato, la chiesa e il campanile come ostacoli da evitare.
Pontebba, adagiata in un tratto di valle profondamente incisa dal torrente Fella, è soffocata da ciò che resta della stazione ferroviaria (la grande dogana è stata disattivata nel 1993), dalla ferrovia nuova, dalla strada statale, dall'autostrada, dagli enormi svincoli viari, dall'oleodotto.
Questi due casi sono sufficienti per spiegare come il ripristino del patrimonio edilizio non abbia sostenuto ovunque la crescita economico-sociale, come la montagna abbia spesso subito invasive infrastrutture viarie senza sollevare obiezioni o proporre alternative. Le arterie stradali, che nel Canal del Ferro sembrano talvolta imposte con prepotenza, sono state accettate nel quadro di un inarrestabile degrado demografico, della rinuncia quasi definitiva ad ogni sviluppo.
L'avanzata disordinata della foresta su versanti che accoglievano prati-pascoli documenta la fine dell'agricoltura di montagna come reddito sussidiario e come cura del paesaggio, conferma la ricostruzione quale acceleratore di negativi processi economici che erano in atto prima del terremoto.
Modi di vita in via di estinzione furono cancellati con durezza. In montagna dove sopravvivevano in grave declino l'agricoltura sussidiaria, la cura dei prati-pascoli e del bosco, gli insediamenti furono ricostruiti secondo moduli nuovi, che in accordo con esigenze da tempo avvertite ormai escludevano stalle e fienili. Da questa angolatura la rinascita del Friuli si configura come rottura della tradizione, conclusione di un lento processo di degrado.
L’università di Udine
Nel documento approvato all'unanimità dal Consiglio regionale del primo febbraio 1977 c'è un richiamo al Piano Urbanistico Regionale (PUR), redatto immediatamente prima della catastrofe. Raccomanda la saldatura dell'opera di ricostruzione con il disegno generale di sviluppo dell'intera Regione Friuli-Venezia Giulia. In discussione erano il reinserimento del territorio colpito nell'insieme regionale e la continuità dei programmi in atto prima del maggio 1976 a favore della crescita economico-sociale del Friuli. La legge nazionale sulla ricostruzione dell' 8 agosto 1977 accolse la scelta strategica che si basava sulla riparazione degli edifici danneggiati , quindi il "dove era , come era". Il fatto, che consolidava la volontà di riattivare i processi di sviluppo interrotti dal sisma senza perdere il contatto con il proprio territorio, fu immediatamente condiviso e preteso con forza dall'opinione pubblica. Al ripristino edilizio e al compimento delle infrastrutture viarie furono pertanto affiancati i centri di ricerca per la sicurezza del territorio e l'espansione delle industrie.
La fondazione dell'Università di Udine, che rientrava tra i progetti elaborati prima del sisma, ristabilì la continuità con programmi di sviluppo che il terremoto avrebbe potuto interrompere. Da questo punto di vista l'ateneo friulano può ritenersi - anche per le modalità secondo le quali fu realizzato - un momento significativo ed esemplare della ricostruzione.
La richiesta di una facoltà di medicina a Udine, sottolineata dalle manifestazioni studentesche del 1965 e del 1966, risaliva ai primi anni Sessanta. Al tempo si accettava l'idea di una università regionale con due sedi. E' importante rileggere le motivazioni in base alle quali negli anni successivi si sollecitò il decentramento di determinati corsi di laurea o facoltà a Udine.
Nel 1972 il Consorzio per la Costituzione e lo Sviluppo degli Insegnamenti Universitari in Udine, a Trieste presso la Presidenza della Giunta regionale, concordò con il magnifico rettore e di fronte agli assessori regionali all'istruzione e alla sanità che a Udine sarebbero state attivate sezioni delle facoltà di ingegneria, scienze, lingue e letterature slave, che si sarebbero istituite commissioni per l'attivazione dei corsi di medicina e di scienze dei trasporti.
Fu immediatamente chiaro che l'Università di Trieste non intendeva mantenere gli impegni, divenne pertanto necessaria la scelta di un'autonoma Università.
Nel 1974 Diego Carpenedo, a nome della Provincia di Udine, propose di istituire - ormai all'interno di un Ateneo separato - un corso di laurea in tecnologie industriali a sostegno delle piccole medie industrie, un corso di laurea per la difesa del suolo e la pianificazione del territorio, l'istituzione della facoltà di agraria. Si sottolineava - senza ambiguità e non certo a titolo meramente personale - un rapporto diretto tra ricerca scientifica , sviluppo industriale e sicurezza ambientale. Si definiva quello che avrebbe dovuto essere il carattere distintivo del nuovo ateneo: governare sviluppo e territorio.
La legge di ricostruzione del Friuli, che prevedeva in Udine la nascita delle facoltà di lingue dell'Europa orientale, di ingegneria per la difesa del suolo e per la gestione delle aziende, di scienze agrarie e delle preparazioni alimentari, rispettò e perseguì questo orientamento. Nel 1979 fu elaborato il programma edilizio in base al quale la nuova Università si sarebbe insediata nel territorio urbanizzato per determinare utili integrazioni con le strutture culturali e scientifiche della città.
Udine era già il capoluogo della ricostruzione in quanto accoglieva centri di ricerca, professionisti, riviste tecniche, editori specificamente orientati alla soluzione dei problemi che il terremoto aveva sollevato, ma soprattutto in quanto era il luogo nel quale forze politiche normalmente in contrasto tra loro avevano trovato un accordo e collaboravano alla ripresa del Friuli dimostrando energia e realismo senza rinuncia alle proprie convinzioni ideologiche. Il caso di "Ricostruire", rivista tecnica quadrimestrale di informazione fondata nel 1977, è significativo perchè riuscì ad aggregare le forze utili alla ricostruzione garantendo a tutti piena autonomia di espressione, perchè fu accompagnato dal mensile "Foglio di Ricostruire" , rivolto a una base di lettori più ampia e popolare.
Il "sistema a due centri" in base al quale furono ordinate le sedi della nuova università previde un insediamento all'interno della parte antica della città (anzitutto Palazzo Antonini) e una "zona universitaria" esterna (ex Cotonificio Udinese). Le previsioni e le valutazioni del PUR , che nell'area sinistrata non avrebbero avuto più senso, furono richiamate nella quantificazione della popolazione studentesca e del fabbisogno edilizio universitario per dimostrare la volontà già dichiarata di perseguire in perfetta continuità lo sviluppo sociale ed economico che gli anni prima del sisma avevano impostato.
Incardinata nella città di Udine la nuova istituzione si dedicò ai problemi urgenti del territorio. Di fatto una parte rilevante della letteratura sul terremoto dipese dalla produzione accademica udinese.
Il tema della continuità qui rappresentato in positivo riguarda da altra prospettiva il cedimento della montagna che in un primo tempo fu rallentato e attutito dal ripristino edilizio e lungo il torrente Fella dalla costruzione di strade, ma successivamente fu abbandonato al precedente destino di degrado perchè non integrabile con l'industrializzazione diffusa del Friuli più avanzato.