I tempi della ricostruzione
Il contrasto tra la Gemona storica e la Gemona che supera il limite della ferrovia pontebbana e irrompe nella pianura, si ripete nel caso di Venzone i cui abitanti si sono insediati dentro e fuori dalle mura. E' palese la diversità tra la ricostruzione filologicamente rigorosa della città antica attuata con una rigida pianificazione urbanistica particolareggiata e quella eterogenea della periferia. Poichè il fatto è ricorrente - pur con le varianti che i singoli luoghi hanno suggerito - è necessario richiamare la drammaticità del quotidiano e le fasi convulse del post-terremoto, intuire quindi come il complesso dei singoli interventi edilizi con autorizzazione diretta abbiano preceduto i successivi, più ordinati e meditati, interventi urbanistici pianificati. La distinzione - ancor oggi di immediata evidenza – ha la sua origine soprattutto nei differenti modi secondo i quali si è imposta e soddisfatta la domanda dei terremotati. Nel 1976 gli edifici industriali che dominavano il Campo di Osoppo e le ultime colline moreniche indicavano i progressi innovativi che l'economia friulana aveva raggiunto e che gli eventi sismici del maggio mettevano in discussione. La fabbrica di cucine Snaidero, che aveva retto le scosse telluriche rimanendo praticamente intatta – doveva urgentemente trovare sistemazione per i propri operai. La fabbrica di mobili Fantoni – gravemente lesionata dal terremoto – aveva deciso senza indugi la riparazione e il potenziamento dell'attività produttiva in situ. Medesimo era stato l'atteggiamento dell'acciaieria Pittini, che aveva subito minori danneggiamenti. La Manifattura di Gemona, rasa al suolo dal terremoto, avviò il giorno 11 dicembre 1976 la ricostruzione dell'azienda, mentre i suoi dipendenti a Udine e Pordenone stavano recuperando parte dei macchinari. Bruciata dagli austriaci nel 1918, bombardata dagli alleati nel 1945 rinasceva con la stessa determinazione delle volte precedenti.
Ivano Benvenuti, ex sindaco di Gemona. Gemona, 12 marzo 2016
Il momento eroico iniziale della ricostruzione fu segnato dalla alleanza imprenditori-lavoratori, insieme determinati a mantenere in loco la produzione industriale, a riprendere e incrementare la modernizzazione di recente avviata. Le statistiche confermano i risultati ottenuti dalle aziende guida e dalle imprese artigianali nel periodo in cui la gran parte di maestranze e operai era ancora senza tetto o precariamente alloggiati. I dati statistici in proposito sono chiari: entro il primo anno dal terremoto oltre il 90% delle 450 aziende danneggiate aveva ripreso l'attività. L'occupazione nel settore industriale superò nel 1978 i livelli ante sisma.
La volontà di risiedere in prossimità delle fabbriche abbinò ricostruzione e sviluppo. Il "dove era, come era" accelerò anzitutto la costruzione di case moderne. Riavviare il preesistente significò insieme sostenere aziende in espansione e migliorare al contempo le proprie condizioni di vita. I politici e l'opinione pubblica – non senza accesi confronti - furono coscienti interpreti di questa radicata spinta sociale.
Il caso di Osoppo nel contesto della Piana - a livello di abitazioni- costituisce un caso particolare: il villaggio di prefabbricati, di cui ancora restano le tracce, fu sostituito da un intervento urbanistico del centro distrutto che è stato attuato con piano particolareggiato che diede una inedita unità stilistica al paese. Le distruzioni ingentissime e il grave rischio sismico spiegano l'eccezione, ma i tempi e i modi secondo i quali fu successivamente recuperato il forte rispettano lo schema del rapido recupero abitativo a sostegno della produzione industriale, della più lenta e filologicamente accurata restaurazione del paesaggio storico. Anche a Osoppo stalle e fienili scomparvero. Oggi il muro sbreccato di una "braida", storico podere recintato, fiancheggia la strada osovana e mantiene memoria del tradizionale modo di vita.
L'aver decentrato i compiti della ricostruzione, la decisione di riavviare negli stessi luoghi e con gli stessi uomini il percorso di sviluppo intrapreso già prima del 1976 consentirono il primo recupero del territorio. In dieci anni quasi tutte le ferite inferte dal sisma furono risanate mentre ulteriori traguardi della modernizzazione venivano impostati in termini di infrastrutture cioè di arterie stradali, linee ferroviarie, università, centri di ricerca.