PD: Menis, su Crocifisso rispetto tradizioni non imposizione
(ACON) Trieste, 19 nov - COM/AB - Com'era prevedibile, la
decisione della Corte europea in merito alla rimozione del
Crocifisso ha scatenato reazioni bi-partisan a difesa di quello
che viene considerato un simbolo della nostra stessa identità.
Personalmente - afferma il consigliere regionale del PD Paolo
Menis - ho già preso posizione al riguardo rispetto chi la pensa
diversamente, ma sinceramente credo che il problema sia un altro.
Mi sarei aspettato infatti che un mondo politico maturo potesse
andare al di là del semplice riferimento al fatto concreto e
cogliesse invece lo spunto per intavolare un ben più interessante
confronto sul rapporto tra identità e rispetto (dell'identità)
degli altri.
Sono da sempre accesso sostenitore della necessità di perseguire
l'obiettivo dell'integrazione e ritengo che il processo di
interrelazione tra culture e popoli diversi sia già in atto da
tempo. Cercare di fermarlo o di impedirlo è anacronistico oltre
che inutile. Non a caso però, trattando l'argomento, ho spesso
usato il termine "sfida" e credo che renda bene il percorso che
abbiamo davanti.
La domanda vera non è se dobbiamo mettere o togliere il
Crocifisso in classe ma, su un piano ben più alto, che cosa
dobbiamo accettare e cosa dobbiamo invece difendere per tutelare
la nostra identità e nello stesso tempo rispettare quella degli
altri in una chiave di rispetto reciproco. Il Crocifisso è solo
un passaggio di questo ragionamento. Prima, ad esempio, c'è stata
la polemica sul burqua a riempire le pagine dei giornali e molte
altre ne seguiranno.
Possiamo rispondere e dividerci volta per volta sulle singole
questioni, oppure lasciare la prospettiva particolare e cercare
di definire dei punti fermi nel nostro rapporto con le altre
culture.
In sostanza dei riferimenti condivisi. Dove cercarli?
Non credo sia necessario andare molto lontano, probabilmente è
sufficiente guardare ai principi democratici che reggono il
nostro ordinamento per trovare la soluzione. La nostre conquiste
di civiltà, l'uguaglianza come valore assoluto, la pari dignità
tra uomo e donna, il prevalere dell'interesse pubblico rispetto a
quello privato quando sono incompatibili saranno il metro di
riferimento lungo la via dell'accoglienza.
Alla luce di questi parametri sarà semplice deduzione logica
difendere la nostra contrarietà ad esempio al burqua perché si
oppone a una legge del nostro Stato che impone a tutti di rendere
il viso riconoscibile per la tutela dell'incolumità pubblica e
come tale va rispettata. Sulla base del principio di uguaglianza,
invece, dovremo essere disposti ad aprirci all'aiuto verso gli
altri, se più bisognosi, senza discriminazioni di razza o
religione perché così recita la nostra Costituzione all'articolo
3. E ancora, saremo legittimati a chiedere a tutti coloro che
arrivano in Italia il rispetto delle nostre leggi, fondamento
della convivenza civile e presupposto dell'ordinamento e via
discorrendo.
Rispetto della legge e dei principi fondamentali dell'ordinamento
come guida dunque, ma non solo. Ho parlato di tradizione e di
identità due aspetti collegati al nostro sistema normativo, ma
non coincidenti. Ogni popolo e ogni nazione hanno infatti una
loro storia e un propria tradizione che insieme contribuiscono a
creare la loro identità. In che modo questo aspetto può essere
gestito nell'incontro con l'altro? Con il rispetto.
A ben guardare si ritorna anche qui a un principio fondamentale
quello del diritto civile che proclama il neminem laedere (non
offendere a nessuno) secondo cui la mia libertà finisce dove
comincia la lesione di quella dell'altro. È il caso da cui siamo
partiti, quello del Crocifisso. Può la sua affissione in un luogo
pubblico, atto di per sé conforme alla nostra tradizione di
nazione a prevalenza di fede cristiana, essere considerata un
offesa o limitare la libertà altrui? Non credo che nessuno possa
arrivare a sostenere tanto e, più in generale credo che ogni
simbolo religioso (a meno che non offenda esplicitamente un
altrui credo) non abbia questo potere e come tale debba essere
ammesso. Lo stesso vale per le altre manifestazioni religiose che
andranno assoggettate allo stesso principio ispiratore.
Diverso sarebbe invece il discorso se il rispetto delle nostre
tradizioni si traducesse in un'imposizione, essa si, lesiva
dell'altrui libertà. Sarebbe il caso, ad esempio,
dell'imposizione a chi non è credente di seguire
obbligatoriamente le lezioni di religione. In questo caso
l'opposizione sarebbe ferma nel condannare un gesto che và contro
il riconoscimento della libertà personale.