PD: Menis, i sette peccati capitali del Piano sociosanitario
(ACON) Trieste, 17 mar - COM/AB - Scritto, modificato,
riscritto e nuovamente emendato. Ecco cosa è rimasto di un Piano
sociosanitario che, per l'opposizione e molti operatori del
settore, rischia di mettere in serio pericolo l'evoluzione della
sanità del Friuli Venezia Giulia.
Ecco i sette peccati capitali, secondo il consigliere regionale
del PD e componente della Commissione sanità, Paolo Menis.
1 Il metodo generale.
Sin dal suo insediamento, l'assessore Kosic e la Giunta Tondo
hanno proclamato che avrebbero fatto del confronto il momento
centrale nella costruzione del Piano, ma non è stato così. Se
dialogo c'è stato è rimasto all'interno della maggioranza, con
accordi funzionali esclusivamente a logiche di potere, tanto che
sono servite ben sei convocazioni della competente commissione.
Nell'ultima di queste l'ennesimo affronto, con l'assessore che
presenta un testo nuovamente cambiato rispetto a quello inviato
ai consiglieri. Un'offesa al metodo democratico, uno
stravolgimento del normale iter procedurale che ha visto l'apice
nel momento delle audizioni. Fortemente richieste da tutta
l'opposizione, sin dall'approvazione del bozza del Piano, nel
novembre scorso, sono state prima negate, sostenendone
l'inutilità visto il percorso già affrontato con il Libro Verde e
successivamente accolte come contributi arricchenti in una
schizofrenia politica senza spiegazioni.
2 La finta riorganizzazione.
È la parola chiave del Piano secondo l'Assessore Kosic, che ne
vede l'attuazione rigorosa nel nuovo modello hub and spoke.
Peccato che questa modalità operativa sia tutt'altro che
innovativa visto che già da diversi anni si è creata, in maniera
quasi automatica, grazie a un'efficiente rete di collaborazioni
tra professionisti che già provvedono in maniera autonoma a
indirizzare i casi più complicati verso le strutture e i
trattamenti più opportuni. Intervenire cercando di normare questi
rapporti introducendo rigidi criteri gerarchici nella
pianificazione di queste scelte rischia solo di mettere a
repentaglio l'efficienza di un sistema che si basa
sull'autorevolezza e la capacità dei professionisti.
3 Gli ambulatori per i clandestini.
Un passaggio assolutamente marginale sul piano economico, ma non
su quello sociale, che è diventato il cavallo di battaglia di una
crociata ideologica voluta dalla Lega Nord. Nel tentativo di
propugnare una politica discriminatoria, criticata ripetutamente
dall'Europa e dallo stesso governo nazionale amico, si è arrivati
al paradosso di far dipendere il voto di un intero gruppo
politico, su di un provvedimento che condiziona oltre la metà del
bilancio regionale, a una questione di principio che si è risolta
in un gravissimo errore. Gli ambulatori - non certo cliniche,
come demagogicamente ci si ostina a definirle, ma presidi di
prima assistenza - garantivano le cure ai soggetti non iscritti
al SSR con il solo impegno di personale volontario. Con la loro
chiusura si è di fatto precluso il ricorso a cure adeguate a una
fascia della popolazione attualmente presente sul territorio
creando una situazione potenzialmente molto pericolosa. Le
alternative a questo punto sono due: o questi soggetti
decideranno di non curarsi, generando così possibili focolai di
malattie, anche contagiose o al momento poco conosciute nel
nostro Paese sottratte a qualsiasi forma di controllo e di
prevenzione, oppure si rivolgeranno ai Pronto soccorso senza
l'opportuno filtro del medico generale intasando queste
strutture.
4 La logica del risparmio.
La logica ossessiva che pervade il Piano è quella del
contenimento della spesa. Eppure molte incongruità emergono con
disarmante chiarezza anche sotto questo profilo. Spesso si è
sentito di voler eliminare alcuni primari con un approccio
semplicistico e affrettato, dimenticando il loro ruolo
fondamentale nel coordinamento e nella correlativa responsabilità
per il funzionamento dei reparti. All'atto pratico, la tanto
attesa razionalizzazione si traduce in un taglio nel numero di
persone addette ai servizi e alle funzioni. Gli organici, già
contratti negli anni scorsi e oggi in sofferenza per il blocco
del turn over, subiranno ulteriori riduzioni che porteranno
inevitabilmente alla chiusura di servizi e reparti oltre a un
inevitabile calo della qualità. I 20.000 operatori della sanità
pubblica regionale, vera colonna del servizio, non si meritavano
un trattamento di questo genere.
5 L'accentramento del potere decisionale e periferizzazione delle
tensioni.
Pare che la semplificazione, altro cardine del documento, passi
per l'accentramento dei poteri al superdirettore regionale, per
cui ogni scelta avente valenza economica (assunzioni, acquisto
attrezzature e tecnologie) dovrà avere l'autorizzazione della
Direzione regionale. Ciò in barba all'autonomia,
all'autorevolezza e alla dignità professionale dei direttori
delle Ass che avranno il solo compito di mediare le inevitabili
tensioni territoriali fra i medici, fra i Sindaci e con i
cittadini, a causa della prevista riorganizzazione (in riduzione)
nei servizi.
6 Le riforme calate dall'alto.
Con questo spirito sono state governate le scelte più
significative e impattanti del Piano. Emblematico in questo senso
il caso della struttura di Pordenone chiamata a riunire, sotto la
sua guida, tutti gli ospedali della Provincia. Tutti i sindaci
del territorio si sono detti contrario a questa ipotesi che però,
dal 2011, sarà realtà. È questo l'ideale di partecipazione della
comunità alla riforma?
7 La mancanza di prospettiva.
Ovvero l'assenza di una progettualità che sappia indicare, per
gli anni a venire, le cose da fare. Serviranno risposte chiare e
semplici a domande da cui dipende il futuro dei servizi al
cittadino. Il ministro Fazio ha sottolineato come questo Piano
non sia attuabile senza la prosecuzione del precedente, ma questo
non significa che alcuni passaggi non necessitassero di un
aggiornamento. Tutti sono disposti a fare sacrifici, ma nella
chiarezza degli obiettivi che si vogliono raggiungere assieme.