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PD: Menis, carceri sovraffollate e sanità penitenziaria

25.05.2010
09:38
(ACON) Trieste, 25 mag - COM/AB - È bastata qualche protesta, legittima, del personale carcerario a riaprire il dibattito sul drammatico sovraffollamento del sistema carcerario italiano, peccato che sia solo propaganda visto che i problemi del settore sono anche altri. Oltre al sovraffollamento - che il centrosinistra denuncia da anni - esistono molti altri problemi, come ad esempio la mancata riforma della sanità penitenziaria, ferma da oltre dieci anni. A commentare le recenti notizie degli organi di stampa è Paolo Menis, consigliere regionale del PD che, assieme all'eurodeputata Serracchiani e ad alcuni colleghi di partito, è impegnato da mesi in una ricognizione del sistema penitenziario regionale. Sovraffollamento e carenza di personale sono indubbiamente i punti più critici, spiega il democratico, ma non certo gli unici. Pensiamo ad esempio alla riforma della sanità penitenziaria, avviata nel 1998 e non ancora conclusa. Di questa però nessuna parla, meno che mai gli esponenti del Governo che avrebbero tutti gli strumenti per attuarla, perché, evidentemente, non è in grado di smuovere i giusti interessi, diversamente dal Piano carceri. L'attuazione delle norme che prevedono il trasferimento delle funzioni in materia sanitaria dal ministero al Servizio sanitario nazionale porterebbe a un deciso miglioramento delle condizioni di detenzione con uno sforzo assolutamente minimo. Nella nostra Regione, ad esempio, come evidenzierò in una mozione che presenterò a giorni, sarebbe sufficiente che si nominassero i rappresentanti delle Commissioni paritetiche. Sarebbe dunque sufficiente un minimo sforzo per ottenere un grande risultato, quello rendere più accettabili e dignitose le condizioni di vita in carcere, in cui a oltre il 40% dei reclusi è stata diagnosticata una malattia infettiva e al 20% una o più patologie psichiatriche. Molti appelli sono pura propaganda per tentare di ridare credibilità alla presunta panacea, il cosiddetto Piano carceri, che a giudizio degli addetti ai lavori sarebbe vanificato ancora prima di essere operativo visti i ritmi di crescita della popolazione carceraria. Con gli stessi soldi del piano (circa 500 milioni di euro) si potrebbero - conclude Menis - finanziarie oltre 10mila progetti tutorati, avviando un serio percorso di recupero, con costi ridotti (un detenuto in affido costa un decimo che in carcere) e maggiore sicurezza visto la recidiva che, in caso di applicazione di misure alternative, è dimezzata rispetto a quella registrata in carcere. Per costruire un sistema carcerario dignitoso e degno di una società civile non servono solo mattoni.