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CR: ddl servizi sociali, relatore minoranza Codega (5)

22.11.2011
12:05
(ACON) Trieste, 22 nov - MPB - Nel ddl presentato dalla Giunta per cambiare profondamente le regole di accesso al sistema sociale nella nostra regione, secondo il relatore di minoranza Franco Codega (PD), si intrecciano tre storie: una amministrativa, una giuridica e una politica.

La prima è la storia di un'Amministrazione regionale che ha smantellato via via tutto il sistema sociale che la precedente aveva impostato, per sostituirlo con regole del tutto diverse in cui la caratteristica di fondo è escludere il più possibile gli stranieri presenti regolarmente nella nostra regione dalle diverse provvidenze sociali predisposte per tutti gli altri cittadini, con il risultato di introdurre norme discriminatorie in tutti i campi, dal Fondo di solidarietà alla Carta famiglia, dal Bonus bebè all'assegnazione di alloggi delle case Ater, agli interventi del sistema integrato dei servizi, e altro ancora.

In ogni passaggio di costruzione di questo struttura il PD, assieme a tutte le altre forze di opposizione, ha fatto presente l'incompatibilità di queste norme con quelle della comunità europea e con le leggi e la Costituzione dello Stato italiano. Non se ne è tenuto, così uno dopo l'altro sono intervenuti atti pronunciati da diversi soggetti giuridici a smentire la sostenibilità delle norme messe in atto.

La nuova versione proposta dal disegno di legge cerca di parare il colpo sul versante europeo e, salvo che per alcune questioni - secondo Codega - il lavoro fatto è accettabile; resta però irrisolto il problema dell'armonizzazione con le norme nazionali e, in particolare, con la Costituzione. La nuova proposta prevede che per i cittadini italiani, i cittadini comunitari, i titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, per i titolari dello status di rifugiati e dello status di protezione sussidiaria, l'accesso alle diverse provvidenze del sistema sociale previste dalle diverse norme regionali, sia possibile qualora si risponda al requisito di una permanenza in regione per almeno due anni. Per gli stranieri titolari di permesso di soggiorno di almeno un anno, si richiede la permanenza in Italia di 5 anni e in regione di due. Stando così le cose, permangono incompatibilità sia verso le norme europee, ma soprattutto verso la nostra Costituzione.

Rispetto alle norme europee, i due anni di permanenza in regione sono una discriminazione indiretta o dissimulata nei confronti di coloro per i quali è più difficile avere questo requisito: cittadini italiani di altre regioni giunti per motivi di lavoro o di studio qui da noi; giovani figli di corregionali che, attualmente residenti all'estero, decidano di rientrare nella loro regione; cittadini di altri Paesi della Comunità europea qui per lavoro o studio. E così pure per i rifugiati e i titolari di protezione sussidiaria è una discriminazione indiretta rispetto ai nativi regionali.

Questa paradossale vicenda di carattere amministrativo e giuridico si spiega solo con la storia politica che sta dietro l'intera questione, con il fatto cioè che su questa tematica l'Amministrazione è ostaggio della Lega Nord e delle sue istanze discriminatorie, come quelle sulla sicurezza - ha sottolineato Codega. Comprendiamo la necessità per Pdl e UDC di tenere in piedi la maggioranza, ma c'è un limite a ogni compromesso, ha concluso Codega indicando l'emblema di tutto questo stato di confusione politica, ideologica, giuridica proprio in ciò che è espresso nell'articolo 9 bis, proposto come emendamento nell'ultima Commissione: siamo l'unica Regione in Italia che propone un finanziamento ai Comuni che hanno disapplicato le leggi da essa stessa emanate.

(segue)