AR: Santarossa, no a CIE e CARA, garantire diritti forze dell'ordine
(ACON) Trieste, 27 gen - COM/AB - Gradisca e il suo hinterland
stanno dando e hanno già dato tanto, troppo, in termini di
accoglienza, pertanto anche noi siamo contrari alla riapertura
del CIE e all'allargamento del CARA.
Lo ha dichiarato Valter Santarossa (AR) nel corso del dibattito
in Aula sulle due mozioni sull'argomento.
Sono in corso lavori di sistemazione delle strutture del CIE,
nonostante ripetute rassicurazioni sul fatto che questo non verrà
riaperto. Se corrisponde al vero che non verrà riaperto, ci si
chiede per quale motivo siano state utilizzate risorse pubbliche
per sistemare una struttura che di fatto non dovrebbe essere
riutilizzata. Se invece tale ristrutturazione è finalizzata alla
riapertura è importante che i locali non vengano riconvertiti in
CARA per un ampliamento delle strutture esistenti.
Tra le due ipotesi, infatti, la più accettabile per la
popolazione di Gradisca è il CIE, in quanto trattandosi di una
sorta di "carcere" dovrebbe garantire una maggior sicurezza.
Presupposto perché ciò avvenga, nel rispetto dei diritti di tutti
e non solo degli emigrati, ma anche e soprattutto del personale e
delle forze dell'ordine in servizio presso la struttura, è un
innalzamento dei livelli e degli standard di sicurezza delle
strutture, che devono essere equiparati a quelli di un qualsiasi
carcere. Trattandosi di una struttura detentiva e non di
accoglienza non possono essere accettati nuovi episodi di
evasione o di rivolte interne. Deve inoltre essere previsto un
rinforzo delle forze dell'ordine in servizio, per garantire la
loro sicurezza e condizioni lavorative degne.
Riportando le parole del sindacato di polizia "non solo gli
immigrati clandestini che devastano la struttura e delinquono
sono persone, ma anche chi lavora onestamente per far rispettare
le leggi dello Stato lo sono, e hanno diritto a lavorare e far
vivere le proprie famiglie in modo dignitoso". Prima di occuparsi
dei diritti di chi in passato ha sfasciato le strutture del CIE,
di chi ha rifiutato le procedure di identificazione, di chi ha
protestato in maniera violenta, tanto da causare l'intervento
legittimo della polizia, forse bisognerebbe pensare ai
poliziotti, nostri concittadini che lavorano per far rispettare
la legge e per proteggerci.
Prima di parlare di riaperture, infine, bisognerebbe risolvere il
problema dei salari dei dipendenti del CARA. Proprio oggi è in
programma uno sciopero con manifestazione dei dipendenti che
lamentano una situazione paradossale. L'organico dei lavoratori è
a malapena sufficiente a far fronte a tutte le incombenze e
sottostimato rispetto il numero di immigrati al momento ospitati
(poco meno di 250). Se ciò non bastasse i salari vengono erogati
con ritardo cronico, (l'ultimo stipendio pare risalire a ottobre
e non sono stati liquidati novembre, dicembre e la tredicesima),
la prima settimana di febbraio scade la cassa integrazione e i
lavoratori a partita IVA come medici, infermieri e mediatori
culturali non vengono pagati.
Nulla si sa inoltre del futuro dei dipendenti dell'azienda
trapanese e delle coop collegate che attualmente gestiscono la
struttura, in quanto sembra non si riesca a trovare l'accordo con
la Prefettura per la risoluzione consensuale del contratto in
scadenza nel 2016 e pertanto non possono subentrare nelle
gestione provvisoria la Croce rossa o un'altra cooperativa che
potrebbero garantire la copertura immediata del servizio in
attesa di una nuova gara di appalto. Tra l'altro la Croce Rossa,
che opera con proprio personale volontario, non dovrebbe
garantire l'applicazione della clausola sociale per il
riassorbimento dei lavoratori, lasciando di fatto a casa 70
dipendenti che ora lavorano al CARA. Sarebbe pertanto opportuno
risolvere le questioni inerenti i diritti dei nostri cittadini
impiegati a diverso titolo nelle strutture del CARA prima di
pensare a riaprire il CIE o ampliare il CARA.