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AR: Santarossa, no a CIE e CARA, garantire diritti forze dell'ordine

27.01.2015
16:52
(ACON) Trieste, 27 gen - COM/AB - Gradisca e il suo hinterland stanno dando e hanno già dato tanto, troppo, in termini di accoglienza, pertanto anche noi siamo contrari alla riapertura del CIE e all'allargamento del CARA.

Lo ha dichiarato Valter Santarossa (AR) nel corso del dibattito in Aula sulle due mozioni sull'argomento.

Sono in corso lavori di sistemazione delle strutture del CIE, nonostante ripetute rassicurazioni sul fatto che questo non verrà riaperto. Se corrisponde al vero che non verrà riaperto, ci si chiede per quale motivo siano state utilizzate risorse pubbliche per sistemare una struttura che di fatto non dovrebbe essere riutilizzata. Se invece tale ristrutturazione è finalizzata alla riapertura è importante che i locali non vengano riconvertiti in CARA per un ampliamento delle strutture esistenti.

Tra le due ipotesi, infatti, la più accettabile per la popolazione di Gradisca è il CIE, in quanto trattandosi di una sorta di "carcere" dovrebbe garantire una maggior sicurezza. Presupposto perché ciò avvenga, nel rispetto dei diritti di tutti e non solo degli emigrati, ma anche e soprattutto del personale e delle forze dell'ordine in servizio presso la struttura, è un innalzamento dei livelli e degli standard di sicurezza delle strutture, che devono essere equiparati a quelli di un qualsiasi carcere. Trattandosi di una struttura detentiva e non di accoglienza non possono essere accettati nuovi episodi di evasione o di rivolte interne. Deve inoltre essere previsto un rinforzo delle forze dell'ordine in servizio, per garantire la loro sicurezza e condizioni lavorative degne.

Riportando le parole del sindacato di polizia "non solo gli immigrati clandestini che devastano la struttura e delinquono sono persone, ma anche chi lavora onestamente per far rispettare le leggi dello Stato lo sono, e hanno diritto a lavorare e far vivere le proprie famiglie in modo dignitoso". Prima di occuparsi dei diritti di chi in passato ha sfasciato le strutture del CIE, di chi ha rifiutato le procedure di identificazione, di chi ha protestato in maniera violenta, tanto da causare l'intervento legittimo della polizia, forse bisognerebbe pensare ai poliziotti, nostri concittadini che lavorano per far rispettare la legge e per proteggerci.

Prima di parlare di riaperture, infine, bisognerebbe risolvere il problema dei salari dei dipendenti del CARA. Proprio oggi è in programma uno sciopero con manifestazione dei dipendenti che lamentano una situazione paradossale. L'organico dei lavoratori è a malapena sufficiente a far fronte a tutte le incombenze e sottostimato rispetto il numero di immigrati al momento ospitati (poco meno di 250). Se ciò non bastasse i salari vengono erogati con ritardo cronico, (l'ultimo stipendio pare risalire a ottobre e non sono stati liquidati novembre, dicembre e la tredicesima), la prima settimana di febbraio scade la cassa integrazione e i lavoratori a partita IVA come medici, infermieri e mediatori culturali non vengono pagati.

Nulla si sa inoltre del futuro dei dipendenti dell'azienda trapanese e delle coop collegate che attualmente gestiscono la struttura, in quanto sembra non si riesca a trovare l'accordo con la Prefettura per la risoluzione consensuale del contratto in scadenza nel 2016 e pertanto non possono subentrare nelle gestione provvisoria la Croce rossa o un'altra cooperativa che potrebbero garantire la copertura immediata del servizio in attesa di una nuova gara di appalto. Tra l'altro la Croce Rossa, che opera con proprio personale volontario, non dovrebbe garantire l'applicazione della clausola sociale per il riassorbimento dei lavoratori, lasciando di fatto a casa 70 dipendenti che ora lavorano al CARA. Sarebbe pertanto opportuno risolvere le questioni inerenti i diritti dei nostri cittadini impiegati a diverso titolo nelle strutture del CARA prima di pensare a riaprire il CIE o ampliare il CARA.