Covid: Riccardi in III Comm, più del 90% dei malati curati a casa
(ACON) Trieste, 25 mag - Poco meno del dieci per cento dei
malati di Covid in Friuli Venezia Giulia è finito in ospedale.
Detto in numeri, i ricoverati sono stati 10072 sul totale di
106770 positivi al virus.
Basterebbe questo dato - illustrato dal professor Carlo Tascini
durante la seduta della III Commissione presieduta dal leghista
Ivo Moras - per comprendere l'importanza delle cure domiciliari,
il tema al centro dell'audizione di oggi nell'aula del Consiglio
regionale, nel corso della quale Riccardo Riccardi,
vicegovernatore con delega alla Salute, ha aggiornato i
consiglieri sull'andamento della campagna vaccinale che, al
momento, ha coperto il 20 per cento della popolazione Fvg con la
doppia dose e il 43 per cento con la prima dose.
L'audizione era stata richiesta da Simona Liguori (Cittadini) il
22 marzo scorso, in una fase critica della lotta al virus, per
chiedere di rafforzare le cure a casa e sollecitare - come la
consigliera ha ricordato anche nel suo intervento in aula - una
tempestiva presa in carico del paziente. Aspetto sottolineato
pure da Andrea Ussai (M5S), che ha chiesto informazioni
specifiche sul tema del monitoraggio dei malati a casa e
sull'utilizzo del plasma per immuni come cura. Mentre Walter
Zalukar (Misto) ha lamentato una "carenza di coordinamento e di
linee guida per le Usca impegnate nella terapia domiciliare" e
l'assenza di un protocollo organizzativo specifico.
Furio Honsell (Open) ha posto invece il tema delle infezioni da
Covid contratte negli ospedali, prendendo spunto da un'inchiesta
giornalistica inglese e invocando la diffusione trasparente di
questi dati da parte delle autorità sanitarie. Un altro
consigliere, Antonio Lippolis della Lega, ha invece chiesto
dettagli sulla terapia con monoclonali.
Riccardi ha dato la parola ai professionisti della sanità prima
di trarre le sue conclusioni. "Il protocollo regionale sulle cure
domiciliari - ha inquadrato Gianna Zamaro, al vertice della
direzione Salute - porta la data del 1 aprile ed è stato
condiviso con i professionisti, i sindacati e l'Ordine dei medici
che hanno fornito i loro suggerimenti".
È stato poi Tascini, infettivologo a capo della struttura
dell'Asufc, a illustrarne i contenuti con una serie di slide che
hanno preso in esame i sintomi più frequenti, il decorso della
malattia ("Solo il 10 per cento dei pazienti è rimasto
sintomatico anche durante la seconda settimana"), l'utilizzo dei
test molecolari e antigenici e le prescrizioni per i pazienti a
casa, tra le quali il controllo della temperatura due volte al
giorno e della saturazione 4 volte al giorno.
Il protocollo, ha spiegato ancora Tascini, stabilisce i parametri
per il ricovero in ospedale (nel caso ad esempio si riscontri una
ipossiemia con valori inferiori al 92 per cento) e l'utilizzo
delle terapie. "La malattia ha due fasi - ha spiegato il
professionista - : virale nei primi 7 giorni, poi infiammatoria.
Servono quindi terapie differenziate, e non bisogna somministrare
cortisone nella prima settimana perché può essere molto
deleterio: su questo c'è stata un'ampia discussione tra noi".
Tascini si è soffermato anche su terapie alternative come quella
a base di monoclonali (da utilizzare nella fase iniziale),
Remdevisir (utile solo nei casi meno gravi), idrossiclorochina
(antimalarico sconsigliato dall'Aifa perché può provocare
aritmie). "Terapie innovative come quella del plasma iperimmune
possono essere prescritte chiedendo il permesso al Comitato
etico", ma a volte i tempi di 3-4 giorni necessari per avere una
risposta stridono con la necessità di curare il paziente nei
primi giorni di malattia.
Sono intervenuti da remoto anche gli altri due responsabili delle
malattie infettive. Massimo Crapis di Asfo ha sottolineato i
numerosi incontri con i medici di medicina generale,
sottolineando però che "spetta a ogni singolo medico di base
mettere in pratica le indicazioni, e io non posso sapere se tutti
i 200 professionisti del Pordenonese siano andati a casa dei
pazienti seguendo le nostre raccomandazioni". Roberto Luzzati, di
Asugi, ha insistito sullo stesso tasto: "Molti dei medici di base
sono collaboranti, altri meno". E ha risposto a Honsell sui
contagi in ospedale: "All'inizio ce ne sono stati molti, non solo
in Italia ma in tutti i Paesi, poi abbiamo capito come ridurre la
contagiosità del virus e abbiamo ridotto il numero dei cluster".
Affrontato anche il tema della sindrome post-Covid. "Il 30 per
cento di chi guarisce ha ancora dei sintomi", ha detto Luzzati.
Mentre Tascino ha parlato di casi più frequenti nelle donne, in
chi ha avuto forme gravi o è stato ricoverato in Terapia
intensiva. La fatica e l'anosmia sono gli strascichi lamentati
più spesso da chi ha superato la malattia.
All'audizione hanno preso parte anche i direttori sanitari.
Andrea Longanesi di Asugi è convinto che non serva il protocollo
organizzativo invocato da Zalukar, ma che occorra "curare le
interfacce, i collegamenti tra i vari livelli assistenziali, il
passaggio da ospedale a territorio. E l'infermiere di continuità
può svolgere un importante servizio". Laura Regattin, direttore
Asufc, ha sottolineato il ruolo importante dei medici Usca, menre
Michele Chittaro (Asfo) ha osservato che la "metodologia di presa
in carico dei pazienti è cambiata nel tempo, a causa
dell'esplosione del numero di contagi".
"Abbiamo numeri da zona bianca, ma questo non deve diventare un
liberi tutti", ha ammonito Riccardi nel suo intervento finale.
"Ci sono state criticità, ma il sistema ha tenuto e il
coordinamento c'è stato", ha evidenziato il vicegovernatore, che
ha voluto lanciare alcuni messaggi: "Il primo è che chi poteva
stare a casa è stato tenuto in casa, in ospedale è finito solo
chi doveva andarci. Il secondo è che dobbiamo fare ancora un
percorso importante per gestire al meglio la catena
ospedale-territorio. Il terzo è che le dinamiche post-malattia
sono variegate, non possiamo dare risposte standardizzate. Resta
poi il grande tema del rapporto tra sanità pubblica e medicina
generale".
ACON/FA-fc