Antimafia: presidenza Cr a Pnlegge, servono magistrati come Livatino
(ACON) Pordenone, 17 set - Non basta essere credenti, bisogna
anche essere credibili. Trasferire cioè sul piano dell'azione e
dei comportamenti quei valori che attengono alla sfera intima e
personale, e corrono perciò su una strada parallela. Ed è quel
che fece per tutta la sua vita Rosario Angelo Livatino, il
magistrato ucciso dalla mafia ad Agrigento nel 1990, quando non
aveva ancora compiuto 38 anni, e di recente beatificato dalla
Chiesa cattolica.
È questa una delle riflessioni sviluppate oggi dal presidente del
Consiglio regionale durante la presentazione del libro
"Resistenza senz'armi", organizzata dalla Biblioteca dell'Aula e
inserita nel calendario di appuntamenti di Pordenonelegge. La
biografia, curata da monsignor Vincenzo Bertolone, riassume
l'esistenza di un uomo dal forte senso dello Stato, esemplare
anche per i laici impegnati nella lotta a criminalità organizzata
e corruzione.
La lezione di Livatino - ha ricordato il presidente, che ha
partecipato al dibattito in rappresentanza dell'intera Assemblea
legislativa - è importante proprio perché indica la strada della
credibilità a tutto il mondo della magistratura: lo uccisero in
modo crudele per lanciare un segnale ai suoi colleghi,
intimorirli e invitarli alla connivenza.
E le collusioni mafiose sono un pericolo reale, ha sottolineato
ancora il presidente, anche in Friuli Venezia Giulia, come
dimostrano i recenti episodi di cronaca, dalla sparatoria di
Trieste alle infiltrazioni segnalate nella vicina Bibione. Per
affrontare queste sfide c'è allora bisogno di forza morale,
quella che aveva dentro di sé il "giudice ragazzino". Ricordando,
ha detto ancora il presidente, le parole di un'altra figura
monumentale del Novecento, san Giovanni Paolo II, che proprio ad
Agrigento davanti a migliaia di persone si rivolse direttamente
ai criminali mafiosi invitandoli a pentirsi perché arriverà il
giudizio di Dio.
La presentazione del libro a Pordenonelegge, definita dal
presidente una straordinaria fucina di cultura, è servita a
mettere in rilievo l'attività dell'Osservatorio antimafia
presieduto da Michele Penta e quella della Biblioteca del
Consiglio regionale, diretta da Massimiliano Pastrovicchio, che
presto organizzerà uno specifico scaffale dedicato alle opere che
affrontano il tema della criminalità organizzata.
Ospite del dibattito, il presidente Penta ha spiegato che
l'Osservatorio è diventato un importante punto di riferimento in
regione, e ha espresso preoccupazione per la recente sparatoria
di Trieste che lascia intravvedere un inquietante "salto di
qualità" nelle infiltrazioni mafiose.
Don Giuseppe Livatino, parente del magistrato ucciso, è invece
intervenuto in videoconferenza per riassumere la vita del
giudice, "una persona normale che è riuscita a fare cose
straordinarie". Don Livatino ha ricordato l'intransigenza di
Rosario nei confronti della cultura del favore e della
raccomandazione, oltre alla sua tenacia nelle indagini in un
contesto ambientale difficile.
"A quei tempi molti dicevano che la mafia ad Agrigento non
c'era". È stato il giudice ragazzino - come racconta il libro che
si avvale della prestigiosa presentazione di Papa Francesco - a
dimostrare, con il suo lavoro e con la sua vita, che chi
minimizzava il problema aveva tragicamente torto.
ACON/FA