VIOLENZA DONNE. GARANTE DIRITTI FVG: SERVE RIVOLUZIONE CULTURALE
(ACON) Trieste, 25 nov - "Per quanto possa sembrare un gesto
formale, perché oggi molti, me compreso, ribadiranno che bisogna
fare di più per eliminare ogni forma di violenza contro le donne,
ritengo comunque necessario esprimere questa aspettativa. Allo
stesso tempo, però, non posso ignorare che, se a parole siamo
tutti d'accordo, nei fatti le soluzioni ancora arrancano: spesso
rischiano di ridursi a semplici slogan, a posizioni ideologiche o
addirittura a schieramenti politici, diventando insomma
un'ulteriore occasione di divisione nella società, sabotando così
di fatto il valore sociale del tema e persino favorendo una
banalizzazione del fenomeno stesso".
Lo afferma in una nota il Garante regionale dei diritti della
persona, Enrico Sbiglia, in occasione della giornata contro la
violenza sulle donne.
"Ritengo - continua Sbriglia -, inoltre, che sia un grave errore
circoscrivere il fenomeno esclusivamente sul piano delle condotte
penalmente rilevanti e verso le quali, parrebbe, le pene
risulterebbero ancora comunque blande, inadeguate, inefficaci per
cui andrebbero ulteriormente appesantite. Non credo, infatti, che
il problema si possa risolvere aumentando esclusivamente le pene
detentive o affrontandolo solo in chiave securitaria. È
importante ricordare che la responsabilità penale è sempre
personale: riguarda il singolo o i singoli individui, anche
quando agiscono insieme o separatamente nei confronti di una
donna, magari in momenti diversi e ripetuti nel tempo.
Concentrarsi solo sui criminali, pochi o molti che siano, rischia
quindi di distogliere l'attenzione della collettività dal vero
nodo, cioè da un certo modo di essere della società, o di una sua
parte influente, e dal modo in cui essa continua a mostrarsi in
tanti contesti".
Secondo il Garante "rappresentare come il tema della prevenzione
e del contrasto ad ogni forma di violenza contro le donne
continui ad essere, invece, un problema sociale aperto, una
voragine che, nonostante i tanti sforzi che le istituzioni
sembrano porre in essere, rimane lì, pronta ad ingoiare la
prossima malcapitata, deve indurci ad un esame di coscienza e a
porci una domanda: facciamo noi, ogni giorno, qualcosa di
concreto per favorire una cultura diversa che abolisca davvero
ogni pensiero violento contro le donne? e come si declinano e
sono riconoscibili le forme di violenza che pure dovremmo
contrastare?"
"E ancora - continua Sbriglia -, lì dove la violenza pure si
manifesta, cosa facciamo, come istituzioni e in modo corale,
affinché, le vittime, se sopravvissute, possano recuperare
fiducia nella società e, probabilmente, anche in sé stesse? Il
tema è complesso e pone a nudo le nostre fragilità di società e
le stesse nostre storie di comunità".
Per il Garante Fvg, dunque, "non si tratta di affermare, ancora
una volta, che occorre un maggior numero di 'case rifugio' per
quante vogliano ricostruire, lontano dai contesti di violenza
subita e dalle persone che le hanno perpetrate, una vita diversa,
libera, piena, dove sognare è legittimo; non si tratta soltanto
di immaginare interventi di maggiore portata economica che
supportino quella realtà del privato sociale alle quali, spesso,
e in modo esclusivo, abbiamo demandato le azioni di cura e presa
in carico delle vittime; non si tratta soltanto di pensare di
prevedere un minimo di sollievo economico a quante, non essendo
percettrici di reddito, sono di fatto costrette a convivere con
il vigliacco violento, soprattutto ove vi siano dei figli,
impedendo alle stesse di allontanarsi dall'autore o dagli autori
del reato".
"Si tratta - afferma Sbriglia - anche di saper intervenire, come
società civile libera e davver democratica, per sanare le
cicatrici che rimangano sul corpo e sullo spirito delle donne
che hanno subito maltrattamenti. Non basta affidare questi
compiti, per quanto difficili, solo a operatori e operatrici
sociali fortemente motivati e dotati di grande professionalità e
animati da una profonda passione civile nel prendersi cura delle
persone in difficoltà".
"Al riguardo - spiega Sbriglia - mi piace pensare alla filosofia
del kintsugi, quell'antica arte, apparentemente folle, che si
basa sull'idea giapponese di riparare con l'oro ('kin' oro,
'tsugi' riunire) gli oggetti rotti, in particolare le ceramiche,
quei piatti o quei vasi che, nella nostra cultura consumistica,
una volta segnati da incrinature o altro, vanno subito buttati
via perché brutti da vedere, se non anche pericolosi per la
salute".
"Ebbene - evidenzia il Garante -, la nostra capacità di società
che 'sente', che si commuove e che agisce, dovrebbe prendere
esempio da quell'arte, per aiutare le vittime della violenza a
non nascondere le crepe subite, perché quegli squarci, quelle
incrinature non sono soltanto loro, ma di tutta la società che
deve anch'essa imparare a saper soffrire con loro e, nel
contempo, aiutarle, sanando le ferite nella consapevolezza che,
pur riparandole, non potranno mai essere cancellate. L'oro della
solidarietà, l'argento della parola, il platino della
compassione, saranno i metalli preziosi da impiegare,
trasformando quelle cicatrici in segni di forza e bellezza, di
aiuto concreto e condivisione".
Per Svriglia "la resilienza delle donne che hanno subito violenza
deve diventare un rifiuto categorico e collettivo di ogni forma
di cultura violenta, soprattutto di quella più nascosta e
subliminale. Questa violenza si manifesta anche attraverso forme
di comunicazione e perfino di arte perversa, in particolare
quella musicale, dove il messaggio violento diventa attraente e
dove, talvolta, il maltrattamento delle donne viene addirittura
esaltato, rappresentandole ancora una volta come semplici orpelli
del maschio dominante".
"Certo - continua il Garante Fvg - , esistono pure ulteriori
forme di violenza verso le donne, veicolate attraverso l'uso e
l'abuso delle moderne tecnologie, dando vita ad ampio ventaglio
di reati che si riferiscono alla dimensione cyber del crimine, ma
è soprattutto nella nostra cultura di popolo, di famiglia, di
comunità che occorre rafforzare una reale rivoluzione sociale: lo
dobbiamo alle nostre donne, alle nostre madri, alle nostre
figlie, alle nostre nipoti, ma anche a tutte le madri, le
compagne e le bambine delle nostre comunità, siano esse native o
di adozione. Ogni possibile violenza contro di loro si alimenta
anche della nostra superficialità, indifferenza o mancanza di
interesse, spesso perché pensiamo che non possa capitare anche a
noi, non comprendendo che proprio questo atteggiamento favorisce
il ripetersi di un dramma che non è soltanto delle donne, ma di
tutta la società".
"Poco importa che si tratti di un dramma condiviso anche a
livello mondiale - conclude Sbtiglia -: l'insieme qui non diventa
forza sociale, ma si trasforma nel primato della debolezza".
ACON/COM/sm