Pari opportunità: presenza donne in liste elettorali
(ACON) Trieste, 19 nov - COM/AB - Conferenza stampa della
Commissione regionale pari opportunità del FVG sulla legge
elettorale e la presenza delle donne nelle liste.
La nuova legge elettorale in discussione al Parlamento - ha
sottolineato la presidente Renata Brovedani - è un altro ostacolo
alle pari opportunità in politica delle donne per diversi motivi:
perché non attua l'art. 51 (riformato) della Costituzione, specie
il comma due ("A tal fine la Repubblica promuove con appositi
provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini");
perché ai partiti è demandata in toto la composizione delle liste
elettorali;
perché i cittadini/e non possono scegliere il nome da votare, ma
devono attenersi all'ordine della lista.
E' democrazia questa? - si chiede la Brovedani che ha aggiunto:
Se riflettiamo sui dati degli ultimi due decenni, scopriamo che
non c'è stata una crescita progressiva della presenza delle donne
nei luoghi decisionali, quanto piuttosto un andamento alterno,
con progressioni e arretramenti. Ad esempio, la presenza
femminile alla Camera dei Deputati, dopo essere arrivata al 13%
nel 1987, è scesa all'8% nel 1992, per crescere poi oltre al 14%
nel 1994 e infine riabbassarsi all'11% nel 1996 e nel 2001. Il
numero delle ministre e delle sottosegretarie, a partire dalla
nomina di Tina Anselmi nel 1976, è sempre stato ridotto, con la
punta massima nel governo D'Alema (6 su un totale di 26 e 10
sottosegretarie su 54).
Si tratta con tutta evidenza di percentuali bassissime, che ci
fanno parlare di democrazia incompiuta. E non si dica che ci sono
poche donne competenti o capaci di assumersi responsabilità: le
statistiche testimoniano dei successi scolastici delle giovani
donne, della loro capacità di vincere concorsi, della loro
bravura in tutti i settori, dall'economia alla sanità alla
cultura.
Le donne - così ancora la Brovedani - costituiscono oltre la metà
della popolazione e quindi dovrebbe essere ovvia una condivisione
maschile/femminile anche nei luoghi di responsabilità, là dove si
prendono le decisioni per la collettività. Poiché le donne vivono
la quotidianità in maniera diversa in quanto sottoposte a
sollecitazioni ed esperienze differenti che interpretano secondo
sensibilità e percezioni diverse, con altre priorità rispetto a
quelle dell'uomo, è pensabile che il loro contributo alle
iniziative legislative e di governo porti a correggere disequità,
discriminazioni, anche dimenticanze: solo una presenza
equilibrata di donne e uomini nei luoghi decisionali potrebbe
garantire scelte davvero le più funzionali per tutti.
La questione delle quote si inserisce in questo ragionamento:
l'art. 51 riformato della Costituzione prevede l'adozione da
parte della Repubblica di misure atte proprio a riequilibrare la
presenza delle donne nei luoghi della rappresentanza. Una di
queste misure poteva essere l'inserire nella riforma della legge
elettorale un obbligo per tutti i partiti a proporre percentuali
di nomi di donne nelle liste elettorali. Non si trattava di
garantire seggi; si trattava invece di obbligare i partiti a
proporre all'elettorato una lista di nomi maschili e femminili
tra cui scegliere.
L'esperienza ci insegna - ha aggiunto la presidente della
Commissione pari opportunità - che l'autoconservazione maschile
dei seggi in Parlamento è difficilmente scalzabile a seguito di
atteggiamenti spontanei; bisogna, in via transitoria, ricorrere
a norme vincolanti. Consideriamo il numero di coloro che nella
presente legislatura sono stati eletti per la prima volta nei due
rami del Parlamento italiano: 430 uomini e 48 donne. E'
realistico che un numero di maschi così alto sia dovuto
unicamente alla loro bravura, competenza e capacità di
autopromozione? Non hanno invece pesato molto la loro posizione
nelle liste, la campagna elettorale, il sostegno dei partiti con
le loro macchine propagandistiche, le disponibilità finanziarie
individuali, la partecipazione a eventi mediatici e molte altre
variabili, che nulla avevano a che fare con il valore individuale
della persona?
Noi crediamo di sì e lanciamo una sfida: le posizioni di
partenza, per candidati e candidate, devono essere eguali.
L'Unione europea al proposito è molto chiara, come si evince ad
esempio dai punti 13 e 14 della risoluzione 373-2000 del 18
gennaio 2001 del Parlamento Europeo, dove si parla apertamente di
"sistemi di quote".
In definitiva, la Commissione pari opportunità avanza, per bocca
della presidente Brovedani, alcune richieste:
che si attui l'art. 51 della Costituzione attraverso l'obbligo
per tutti i partiti di alternare nelle liste candidature maschili
e femminili in numero pari;
che le liste non rispettose del vincolo siano dichiarate
irricevibili;
che si riesamini l'impatto differenziale dei sistemi elettorali
sulla rappresentanza politica dei due generi;
che si realizzi una pressione congiunta di tutte le parlamentari
affinché siano approvate nuove disposizioni antidiscriminatorie
nei confronti delle candidate durante la futura campagna
elettorale.