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Pari opportunità: presenza donne in liste elettorali

19.11.2005
14:24
(ACON) Trieste, 19 nov - COM/AB - Conferenza stampa della Commissione regionale pari opportunità del FVG sulla legge elettorale e la presenza delle donne nelle liste.

La nuova legge elettorale in discussione al Parlamento - ha sottolineato la presidente Renata Brovedani - è un altro ostacolo alle pari opportunità in politica delle donne per diversi motivi: perché non attua l'art. 51 (riformato) della Costituzione, specie il comma due ("A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini"); perché ai partiti è demandata in toto la composizione delle liste elettorali; perché i cittadini/e non possono scegliere il nome da votare, ma devono attenersi all'ordine della lista.

E' democrazia questa? - si chiede la Brovedani che ha aggiunto:

Se riflettiamo sui dati degli ultimi due decenni, scopriamo che non c'è stata una crescita progressiva della presenza delle donne nei luoghi decisionali, quanto piuttosto un andamento alterno, con progressioni e arretramenti. Ad esempio, la presenza femminile alla Camera dei Deputati, dopo essere arrivata al 13% nel 1987, è scesa all'8% nel 1992, per crescere poi oltre al 14% nel 1994 e infine riabbassarsi all'11% nel 1996 e nel 2001. Il numero delle ministre e delle sottosegretarie, a partire dalla nomina di Tina Anselmi nel 1976, è sempre stato ridotto, con la punta massima nel governo D'Alema (6 su un totale di 26 e 10 sottosegretarie su 54).

Si tratta con tutta evidenza di percentuali bassissime, che ci fanno parlare di democrazia incompiuta. E non si dica che ci sono poche donne competenti o capaci di assumersi responsabilità: le statistiche testimoniano dei successi scolastici delle giovani donne, della loro capacità di vincere concorsi, della loro bravura in tutti i settori, dall'economia alla sanità alla cultura.

Le donne - così ancora la Brovedani - costituiscono oltre la metà della popolazione e quindi dovrebbe essere ovvia una condivisione maschile/femminile anche nei luoghi di responsabilità, là dove si prendono le decisioni per la collettività. Poiché le donne vivono la quotidianità in maniera diversa in quanto sottoposte a sollecitazioni ed esperienze differenti che interpretano secondo sensibilità e percezioni diverse, con altre priorità rispetto a quelle dell'uomo, è pensabile che il loro contributo alle iniziative legislative e di governo porti a correggere disequità, discriminazioni, anche dimenticanze: solo una presenza equilibrata di donne e uomini nei luoghi decisionali potrebbe garantire scelte davvero le più funzionali per tutti.

La questione delle quote si inserisce in questo ragionamento: l'art. 51 riformato della Costituzione prevede l'adozione da parte della Repubblica di misure atte proprio a riequilibrare la presenza delle donne nei luoghi della rappresentanza. Una di queste misure poteva essere l'inserire nella riforma della legge elettorale un obbligo per tutti i partiti a proporre percentuali di nomi di donne nelle liste elettorali. Non si trattava di garantire seggi; si trattava invece di obbligare i partiti a proporre all'elettorato una lista di nomi maschili e femminili tra cui scegliere. L'esperienza ci insegna - ha aggiunto la presidente della Commissione pari opportunità - che l'autoconservazione maschile dei seggi in Parlamento è difficilmente scalzabile a seguito di atteggiamenti spontanei; bisogna, in via transitoria, ricorrere a norme vincolanti. Consideriamo il numero di coloro che nella presente legislatura sono stati eletti per la prima volta nei due rami del Parlamento italiano: 430 uomini e 48 donne. E' realistico che un numero di maschi così alto sia dovuto unicamente alla loro bravura, competenza e capacità di autopromozione? Non hanno invece pesato molto la loro posizione nelle liste, la campagna elettorale, il sostegno dei partiti con le loro macchine propagandistiche, le disponibilità finanziarie individuali, la partecipazione a eventi mediatici e molte altre variabili, che nulla avevano a che fare con il valore individuale della persona?

Noi crediamo di sì e lanciamo una sfida: le posizioni di partenza, per candidati e candidate, devono essere eguali. L'Unione europea al proposito è molto chiara, come si evince ad esempio dai punti 13 e 14 della risoluzione 373-2000 del 18 gennaio 2001 del Parlamento Europeo, dove si parla apertamente di "sistemi di quote".

In definitiva, la Commissione pari opportunità avanza, per bocca della presidente Brovedani, alcune richieste:

che si attui l'art. 51 della Costituzione attraverso l'obbligo per tutti i partiti di alternare nelle liste candidature maschili e femminili in numero pari; che le liste non rispettose del vincolo siano dichiarate irricevibili; che si riesamini l'impatto differenziale dei sistemi elettorali sulla rappresentanza politica dei due generi; che si realizzi una pressione congiunta di tutte le parlamentari affinché siano approvate nuove disposizioni antidiscriminatorie nei confronti delle candidate durante la futura campagna elettorale.