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CR: legge friulano, relatrice Menosso (7)

23.10.2007
17:21
(ACON) Trieste, 23 ott - RC - Ben tre sono state le proposte di legge depositate sulla lingua friulana (primi firmatari Violino-LN, Baiutti-Margherita-PD e Blasoni-FI) più un disegno di legge della Giunta. Molte le differenze, soprattutto guardando agli obiettivi (chi voleva solo l'insegnamento nelle scuole, altri la promozione della lingua), ma il presupposto irrinunciabile del riconoscimento del friulano come un valore e come un diritto è stato comune.

Ad affermarlo all'Aula, la consigliera dei DS-PD Annamaria Menosso in veste di relatrice di maggioranza sulla proposta di legge sulla tutela della lingua friulana.

A fianco dell'italiano, lingua ufficiale, ben undici idiomi beneficeranno in Italia della tutela prevista dalla Carta europea delle lingue regionali, tra cui il friulano accanto a sloveno e tedesco - ha fatto presente la Menosso. L'obiettivo di fondo è riconoscere queste lingue come espressione di ricchezza culturale. Gli Stati firmatari sono tenuti ad adeguare i propri interventi legislativi sulla base del principio del rispetto dell'area geografica di ciascuna lingua minoritaria, a incoraggiarne l'uso orale e scritto nella vita privata e pubblica, a incentivare forme e mezzi per l'insegnamento e lo studio di queste lingue e la diffusione di programmi televisivi in lingua.

La legge nazionale 482 del 1999 introduce, poi, un criterio fortemente innovatore secondo il quale, fermo restando che la lingua ufficiale dello stato è l'italiano, hanno pari diritti pure altri idiomi, a condizione che siano storicamente presenti nel territorio e abbiamo un preciso ambito di riferimento. Ed è in forza di questa legge che nessuna autorità può permettersi di ignorare o di proibire l'uso di queste lingue nelle scuole o negli uffici pubblici (ma anzi deve essere garantita l'immediata traduzione in lingua italiana qualora qualcuno dichiari di non conoscere la lingua ammessa a tutela), al pari dell'uso, sia orale sia scritto, sempre della lingua minoritaria, negli uffici delle pubbliche amministrazioni.

Facendo riferimento al territorio regionale in cui la lingua friulana risulta tradizionalmente parlata, come individuato dal decreto di Giunta n. 412 del 1996 - ha aggiunto la relatrice di maggioranza -, si è data l'opportunità ai Comuni di chiedere che la delimitazione territoriale sia modificata mediante una delibera motivata (ovvero affermando la non esistenza, sul proprio territorio, di una comunità parlante storicamente il friulano), approvata da più dei 2/3 dei consiglieri comunali (quindi maggioranza non politica - ha sottolineato la Menosso).

Per quanto riguarda l'uso pubblico della lingua, la toponomastica, la traduzione degli interventi nei Consigli comunali, provinciali, etc, tutte incombenze di competenza della Regione, degli enti Locali, degli enti strumentali, dei concessionari, è stato specificato che tutto sarà realizzato sulla base di un Piano di politica linguistica locale che sarà redatto da ogni ente nel pieno rispetto della propria autonomia gestionale e amministrativa, sia nei tempi sia nei modi, dando così risposta anche a un discorso prettamente di carattere economico.

Fuor di dubbio, comunque, che l'argomento che più ha acceso gli animi e continua a far discutere - ha evidenziato la consigliera - è quello relativo all'insegnamento in/del friulano: si stabilisce che le scuole sono obbligate a predisporre percorsi educativi per l'insegnamento e l'apprendimento del friulano e la famiglia è lasciata libera di decidere. E' quindi la famiglia che decide, perchè la scelta è opzionale, e va effettuata al momento dell'iscrizione, valida per l'intero ciclo ma con la possibilità di modifica ogni inizio anno scolastico, con le modalità che ogni Istituto riterrà più opportune.

Lungi dal legislatore, poi - così ancora la Menosso -, l'idea che le scuole di Trieste, piuttosto che quelle collocate al di fuori della delimitazione territoriale prevista dalla presente legge, siano obbligate a ottemperare ai dettati di questa norma. L'intenzione è solo quella di regolamentare ciò che già si attua in molte delle nostre scuole.

(segue)