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PD: Menis, commissari straordinari, l'esercito dei 10mila

15.03.2010
09:54
(ACON) Trieste, 15 mar - COM/AB - L'ultimo, in ordine di tempo, si ritroverà per le mani la possibilità di decidere come impiegare qualcosa come 50 milioni di euro e il potere di scegliere il destino del Tagliamento. Ed è solo una goccia nel fiume, anzi nell'oceano, degli arruolati in un esercito che sembra non avere confini: quello dei commissari straordinari. Per scoprire chi sono e cosa fanno tutti i suoi colleghi sparsi per la Penisola, bisogna lavorare un po' di fantasia. Quanti siano, esattamente, è difficile dirlo ma, in tutto il Paese, si parla di oltre 10mila persone, un vero e proprio "braccio dello Stato".

La denuncia è di Paolo Menis, consigliere regionale del PD, che aggiunge.

Per lo più nati per la gestione di emergenze ambientali e naturali o specifiche calamità, dalla loro istituzione formale avvenuta con la legge 400 del 1988, sono stati chiamati a fare praticamente di tutto: risanare aziende in crisi, pianificare opere pubbliche particolarmente controverse, organizzare grandi eventi. Ma quanto costa questo esercito e soprattutto che cosa produce è ancora più difficile da dire.

Se, infatti, la logica vorrebbe fossero, di fatto, dei tecnici, dei soggetti attuatori più che decisori (per quello dovrebbero esserci i politici) e soprattutto temporanei, la realtà è spesso ben diversa. Addirittura spesso si arriva al paradosso di nominare come commissario la persona che, in base al suo ruolo originario, avrebbe dovuto occuparsi del problema con l'assurdo risultato di incaricare qualcuno di intervenire per risolvere emergenze che ha creato lui stesso.

L'emergenza, si sa, è un concetto difficile da definire e ancora di più da dimenticare, specie se la sua presenza può far venir meno molti dei vincoli e delle regole che spesso incontrano nel gestire problemi complessi.

L'eccezionalità della situazione con cui vengono invocati spesso giustifica il prolungamento degli incarichi originari e rende piuttosto complesso far emergere con chiarezza i veri risultati che il commissario sta portando a casa. Il ragionamento di fondo è molto simile a quello fatto per la Protezione civile. Un Paese che si abitua a ragionare in deroga alle regole che esso stesso si è dato, ai suoi controlli e alle sue garanzie, è un Paese malato. Con la differenza che in questo caso, non essendoci un apparato di riferimento, ma tanti centri di potere diversi, è più difficile avere un panorama completo del fenomeno.

A uscire ancora una volta sconfitti sono i cittadini e la dignità della classe politica che dovrebbe governarli. I contribuenti, prima di tutto, che si ritrovano a dover pagare i salatissimi conti di questo esercito di supereroi che spesso fagocitano un mare di risorse pubbliche. La Corte dei conti, che qualche hanno fa aveva cercato di fare luce sulla questione, ha appurato che normalmente un commissario guadagna, in media, dal 40% al 60% in più rispetto a un normale stipendio. Un esempio per tutti, il super commissario per la TAV, che ogni anno si porta a casa la rispettabile somma di 146mila euro lordi.

Ma a perdere la partita della credibilità è anche, e soprattutto, la classe politica, ridotta a fare i conti con la propria incapacità, costretta a dover delegare ad altri quello che non è più in grado di fare. Eletta e pagata profumatamente per decidere che preferisce invece scaricare le proprie responsabilità alla prima difficoltà, far scegliere qualcun altro in modo da non dover sopportare le responsabilità che questo comporta, venendo così meno al suo primo compito che è quello di ascoltare e fare sintesi di interessi diversi e particolari per raggiungerne uno comune e universale.

Un mondo, quello politico, che sfugge a se stesso, assuefatto a vivere le regole del suo funzionamento come un ostacolo, il confronto come un rallentamento, la critica come un attacco personale. Un sistema compromesso, che di fronte all'inefficienza e all'eccessiva lentezza di alcuni passaggi del suo funzionamento non si attiva per modificarli, ma si preoccupa solo di superarli, aggirando il problema senza risolverlo nella continua ricerca di una via di fuga dai suoi compiti e dalle sue responsabilità.