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PD: Pupulin, combattere disoccupazione con politiche diverse

04.06.2012
16:29
(ACON) Trieste, 4 giu - COM/AB - I dati pubblicati qualche giorno fa dall'Istat erano prevedibili. Eppure l'aumento del tasso di disoccupazione in Friuli Venezia Giulia, dal 5,8% al 7%, il 1,2% in più tra il primo trimestre 2011 e il corrispondente dell'anno in corso, dovrebbe far riflettere maggiormente.

Ad affermarlo è il consigliere regionale del PD Paolo Pupulin che aggiunge.

Un valore medio che non risparmia alcuna provincia della nostra regione; non si salva alcuna categoria professionale; aumentano senza fine i giovani senza lavoro; aumenta il lavoro a tempo determinato, il part-time involontario, il lavoro precario a scapito del lavoro a tempo pieno; diminuisce il numero dei dipendenti a tempo indeterminato (ma non erano ipergarantiti?), mentre crescono i dipendenti a termine.

All'aumento dei disoccupati si accompagna quello degli inattivi, soprattutto nella componente femminile. Tra i motivi per cui si smette di cercare lavoro, in aumento la componente dovuta allo scoraggiamento.

Ma sono i numeri e le loro variazione in un periodo ristretto il dato che colpisce di più. Il presidente Tondo e la sua Giunta si vantavano fino a poco tempo fa di poter presentare un tasso di disoccupazione molto contenuto. Nel secondo e terzo trimestre del 2011 (parliamo di poco di più di un semestre fa) si parlava di un livello di disoccupazione nella regione poco sopra il 4%. Non si analizzavano però in modo approfondito le caratteristiche dei rapporti di lavoro, sempre più flessibili fino alla durata settimanale, né si valutava il trend del ricorso alla cassa integrazione, che stava riprendendo la sua corsa e che avrebbe condotto alla attuale fase recessiva. Vedremo nei prossimi giorni gli ultimi dati sulla cassa integrazione.

Ma le preoccupazioni delle parti economiche e di quelle sociali sono forti. Incominciano a frenare anche le nostre performance sui mercati esteri, quelle che avevano garantito sinora una qualche valvola di sfogo alla pesante frana sui mercati interni. E gli effetti si incominciano a vedere sul versante della disoccupazione: il confronto tra il numero degli occupati, tra il primo trimestre 2011 e quello 2012, sono rilevanti: 513.000 occupati nel 2011, 503.000 nel 2012, 10.000 posti di lavoro in meno. Il tasso di occupazione si è ridotto dal 64,3 al 63% e quello della disoccupazione è cresciuto dal 5,8% al 7%. Ancora più rilevante osservare le ultime tendenze della disoccupazione nel corso degli ultimi 12 mesi: 4,10% nel secondo semestre 2011, 4,07% nel terzo, 6,8% nel quarto. Fino all'attuale 7%.

È evidente il salto di qualità della crisi.

Tornano in aumento anche le persone in cerca di nuova occupazione, che passano dalle 32.000 del primo trimestre 2011 alle 38.000 del primo semestre di questo anno: 6.000 in più, che segnalano che una parte dei nuovi disoccupati è scoraggiato nella ricerca di un nuovo lavoro.

Sono i numeri relativi all'occupazione che hanno la capacità di perdere parte della loro freddezza e restituirci il senso più drammatico della crisi in corso, fatto di storie individuali, di ansie, di speranze deluse, quando non situazioni di vera e propria disperazione.

Che fare? Se la disoccupazione è un aspetto del più generale problema economico europeo e italiano, si tratta in primo luogo di continuare ad adoperarsi per contrastare e invertire una linea perdente tutta incentrata solo sul rigore. Va evitato l'errore di pensare che basti superare la fase acuta della crisi e mettere in sicurezza l'economia. La possibilità di una ripresa senza lavoro va prevenuta, se necessario con politiche mirate e risorse dedicate. Non solo politiche di pura domanda, tipo una versione su larga scala dei lavori socialmente utili o di pubblica utilità, come quelli attuati in Friuli Venezia Giulia, che hanno esaurito la loro funzione congiunturale.

Politiche corrette dovrebbero coniugare l'attenzione insieme al lato domanda e a quello dell'offerta. Accrescere il livello di capitale umano e l'occupabilità, privilegiare quei progetti e programmi in grado di garantire, a parità di spesa, una maggiore intensità di lavoro, effetti moltiplicativi e formazione di capitale umano.