PD: Pupulin, combattere disoccupazione con politiche diverse
(ACON) Trieste, 4 giu - COM/AB - I dati pubblicati qualche
giorno fa dall'Istat erano prevedibili. Eppure l'aumento del
tasso di disoccupazione in Friuli Venezia Giulia, dal 5,8% al 7%,
il 1,2% in più tra il primo trimestre 2011 e il corrispondente
dell'anno in corso, dovrebbe far riflettere maggiormente.
Ad affermarlo è il consigliere regionale del PD Paolo Pupulin che
aggiunge.
Un valore medio che non risparmia alcuna provincia della nostra
regione; non si salva alcuna categoria professionale; aumentano
senza fine i giovani senza lavoro; aumenta il lavoro a tempo
determinato, il part-time involontario, il lavoro precario a
scapito del lavoro a tempo pieno; diminuisce il numero dei
dipendenti a tempo indeterminato (ma non erano ipergarantiti?),
mentre crescono i dipendenti a termine.
All'aumento dei disoccupati si accompagna quello degli inattivi,
soprattutto nella componente femminile. Tra i motivi per cui si
smette di cercare lavoro, in aumento la componente dovuta allo
scoraggiamento.
Ma sono i numeri e le loro variazione in un periodo ristretto il
dato che colpisce di più. Il presidente Tondo e la sua Giunta si
vantavano fino a poco tempo fa di poter presentare un tasso di
disoccupazione molto contenuto. Nel secondo e terzo trimestre del
2011 (parliamo di poco di più di un semestre fa) si parlava di un
livello di disoccupazione nella regione poco sopra il 4%.
Non si analizzavano però in modo approfondito le caratteristiche
dei rapporti di lavoro, sempre più flessibili fino alla durata
settimanale, né si valutava il trend del ricorso alla cassa
integrazione, che stava riprendendo la sua corsa e che avrebbe
condotto alla attuale fase recessiva. Vedremo nei prossimi giorni
gli ultimi dati sulla cassa integrazione.
Ma le preoccupazioni delle parti economiche e di quelle sociali
sono forti. Incominciano a frenare anche le nostre performance
sui mercati esteri, quelle che avevano garantito sinora una
qualche valvola di sfogo alla pesante frana sui mercati interni.
E gli effetti si incominciano a vedere sul versante della
disoccupazione: il confronto tra il numero degli occupati, tra il
primo trimestre 2011 e quello 2012, sono rilevanti: 513.000
occupati nel 2011, 503.000 nel 2012, 10.000 posti di lavoro in
meno. Il tasso di occupazione si è ridotto dal 64,3 al 63% e
quello della disoccupazione è cresciuto dal 5,8% al 7%. Ancora
più rilevante osservare le ultime tendenze della disoccupazione
nel corso degli ultimi 12 mesi: 4,10% nel secondo semestre 2011,
4,07% nel terzo, 6,8% nel quarto. Fino all'attuale 7%.
È evidente il salto di qualità della crisi.
Tornano in aumento anche le persone in cerca di nuova
occupazione, che passano dalle 32.000 del primo trimestre 2011
alle 38.000 del primo semestre di questo anno: 6.000 in più, che
segnalano che una parte dei nuovi disoccupati è scoraggiato nella
ricerca di un nuovo lavoro.
Sono i numeri relativi all'occupazione che hanno la capacità di
perdere parte della loro freddezza e restituirci il senso più
drammatico della crisi in corso, fatto di storie individuali, di
ansie, di speranze deluse, quando non situazioni di vera e
propria disperazione.
Che fare? Se la disoccupazione è un aspetto del più generale
problema economico europeo e italiano, si tratta in primo luogo
di continuare ad adoperarsi per contrastare e invertire una linea
perdente tutta incentrata solo sul rigore. Va evitato l'errore di
pensare che basti superare la fase acuta della crisi e mettere in
sicurezza l'economia. La possibilità di una ripresa senza lavoro
va prevenuta, se necessario con politiche mirate e risorse
dedicate. Non solo politiche di pura domanda, tipo una versione
su larga scala dei lavori socialmente utili o di pubblica
utilità, come quelli attuati in Friuli Venezia Giulia, che hanno
esaurito la loro funzione congiunturale.
Politiche corrette dovrebbero coniugare l'attenzione insieme al
lato domanda e a quello dell'offerta. Accrescere il livello di
capitale umano e l'occupabilità, privilegiare quei progetti e
programmi in grado di garantire, a parità di spesa, una maggiore
intensità di lavoro, effetti moltiplicativi e formazione di
capitale umano.