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Garante: il Parlamento approvi normativa sulle unioni civili

20.01.2016
16:26
(ACON) Trieste, 20 gen - COM/AB - In vista dell'apertura del dibattito parlamentare sul ddl in materia di "Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze", Walter Citti, Garante regionale FVG per le persone a rischio di discriminazione, ricorda come l'approvazione di una disciplina al riguardo costituisca un obbligo non più indifferibile alla luce delle sentenze della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Il quadro costituzionale ed europeo dei diritti umani fondamentali richiede l'approvazione di una disciplina di diritto pubblico che assicuri alle coppie omosessuali stabilmente costituitesi un quadro di diritti e doveri attinenti alla vita personale e famigliare equiparabili a quelli previsti dall'istituto matrimoniale, in conformità ai principi di uguaglianza e al divieto di discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale. A tale riguardo, Citti ricorda come la Corte di Giustizia europea abbia già sancito che, una volta introdotto un istituto volto a regolamentare le unioni civili tra persone dello stesso sesso tendenzialmente equiparabile a quello del matrimonio, ai componenti della coppia spetta il godimento dei diritti sociali e previdenziali correlati, tra cui la pensione di reversibilità, in conformità al divieto di discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale in materia di occupazione, previsto dalla direttiva europea n. 2000/78 (sentenze Maruko e Rohmer).

Di conseguenza, tale materia non può essere oggetto di speculazione politica, poiché ogni eventuale disparità al riguardo esporrebbe la legge a nuovi vagli di legittimità.

Ugualmente, in materia di adozione del figlio del partner del genitore biologico (l' "adozione in casi particolari", ex art. 44 lett. d) Legge sulle adozioni), il Garante regionale ricorda come questa risponda a dare tutela giuridica a una situazione familiare già esistente di fatto, nell'interesse innanzitutto del minore alla continuità delle responsabilità genitoriali e dei legami affettivi maturati. Tale istituto, peraltro, è già esteso alle coppie conviventi per effetto di una consolidata giurisprudenza, per cui la previsione contenuta nel ddl Cirinnà sulla step-child-adoption intende garantire certezza di diritto, mentre ogni previsione che volesse sancire una disparità di trattamento a seconda dell'orientamento sessuale della coppia introdurrebbe delle discriminazioni vietate.

La Corte europea dei diritti dell'uomo, trattando queste questioni, ha affermato che pur mantenendo gli Stati membri un margine di apprezzamento e discrezionalità nel disciplinare gli istituti del diritto famigliare, in particolare quello dell'adozione, nel momento in cui si estende un istituto anche alle coppie non sposate, non possono essere introdotte distinzioni sulla base dell'orientamento sessuale, in quanto non esistono ragioni fondate per cui una coppia omosessuale, per il solo fatto di essere tale, non possa svolgere i compiti dei genitori nell'interesse del minore al pari di una coppia eterosessuale (CEDU, sentenza X c. Austria del 19 febbraio 2013; argomentazioni poi riprese anche dalla giurisprudenza italiana, cf. Cass. Civ., sez. I, 11 gennaio 2013, n. 601).

Citti confida pertanto nell'approvazione da parte del Parlamento italiano di una normativa sulle unioni civili, nella convinzione che questa aiuterà la società italiana a migliorare la propria percezione in senso non discriminatorio dell'orientamento affettivo e sessuale e dell'identità di genere come dimensioni essenziali della personalità di ciascun essere umano, con la conseguente piena accettazione degli orientamenti omosessuali come una normale variante della sessualità umana.

A tale riguardo ricorda che la recente indagine comparativa sulle discriminazioni compiuta dalla Commissione europea nei 28 Paesi membri (Eurobarometro 2015) evidenzia come la percezione delle discriminazioni nella società a danno delle persone gay, lesbiche, bisessuali o transessuali sia superiore in Italia rispetto alla media dei 28 Paesi UE, così come le misure e le tutele per contrastare tali discriminazioni siano percepite come insufficienti in misura maggiore in Italia rispetto alla media UE.

In base all'indice definito dall'organizzazione non governativa internazionale ILGA Europe, che monitora lo status legale e sociale delle persone LGBTI in tutti i paesi del continente europeo, sulla base di sei gruppi di indicatori (uguaglianza e non discriminazione, diritto familiare, hate crimes e hate speech, misure relative alle persone transessuali e intersessuali e all'identità di genere, libertà di espressione, associazione e di riunione, politiche di asilo), l'Italia occupa solo la 35ª posizione tra i 49 Paesi europei, l'ultima tra i Paesi dell'Europa occidentale e centrale. Il Parlamento italiano è dunque chiamato a un'assunzione di responsabilità per rispondere a una questione di civiltà e di tutela dei diritti umani fondamentali che richiama ai principi di uguaglianza, non discriminazione e rispetto della pari dignità sociale.