Garante: il Parlamento approvi normativa sulle unioni civili
(ACON) Trieste, 20 gen - COM/AB - In vista dell'apertura del
dibattito parlamentare sul ddl in materia di "Regolamentazione
delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina
delle convivenze", Walter Citti, Garante regionale FVG per le
persone a rischio di discriminazione, ricorda come l'approvazione
di una disciplina al riguardo costituisca un obbligo non più
indifferibile alla luce delle sentenze della Corte costituzionale
e della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
Il quadro costituzionale ed europeo dei diritti umani
fondamentali richiede l'approvazione di una disciplina di diritto
pubblico che assicuri alle coppie omosessuali stabilmente
costituitesi un quadro di diritti e doveri attinenti alla vita
personale e famigliare equiparabili a quelli previsti
dall'istituto matrimoniale, in conformità ai principi di
uguaglianza e al divieto di discriminazioni fondate
sull'orientamento sessuale.
A tale riguardo, Citti ricorda come la Corte di Giustizia europea
abbia già sancito che, una volta introdotto un istituto volto a
regolamentare le unioni civili tra persone dello stesso sesso
tendenzialmente equiparabile a quello del matrimonio, ai
componenti della coppia spetta il godimento dei diritti sociali e
previdenziali correlati, tra cui la pensione di reversibilità, in
conformità al divieto di discriminazioni fondate
sull'orientamento sessuale in materia di occupazione, previsto
dalla direttiva europea n. 2000/78 (sentenze Maruko e Rohmer).
Di conseguenza, tale materia non può essere oggetto di
speculazione politica, poiché ogni eventuale disparità al
riguardo esporrebbe la legge a nuovi vagli di legittimità.
Ugualmente, in materia di adozione del figlio del partner del
genitore biologico (l' "adozione in casi particolari", ex art. 44
lett. d) Legge sulle adozioni), il Garante regionale ricorda come
questa risponda a dare tutela giuridica a una situazione
familiare già esistente di fatto, nell'interesse innanzitutto del
minore alla continuità delle responsabilità genitoriali e dei
legami affettivi maturati. Tale istituto, peraltro, è già esteso
alle coppie conviventi per effetto di una consolidata
giurisprudenza, per cui la previsione contenuta nel ddl Cirinnà
sulla step-child-adoption intende garantire certezza di diritto,
mentre ogni previsione che volesse sancire una disparità di
trattamento a seconda dell'orientamento sessuale della coppia
introdurrebbe delle discriminazioni vietate.
La Corte europea dei diritti dell'uomo, trattando queste
questioni, ha affermato che pur mantenendo gli Stati membri un
margine di apprezzamento e discrezionalità nel disciplinare gli
istituti del diritto famigliare, in particolare quello
dell'adozione, nel momento in cui si estende un istituto anche
alle coppie non sposate, non possono essere introdotte
distinzioni sulla base dell'orientamento sessuale, in quanto non
esistono ragioni fondate per cui una coppia omosessuale, per il
solo fatto di essere tale, non possa svolgere i compiti dei
genitori nell'interesse del minore al pari di una coppia
eterosessuale (CEDU, sentenza X c. Austria del 19 febbraio 2013;
argomentazioni poi riprese anche dalla giurisprudenza italiana,
cf. Cass. Civ., sez. I, 11 gennaio 2013, n. 601).
Citti confida pertanto nell'approvazione da parte del Parlamento
italiano di una normativa sulle unioni civili, nella convinzione
che questa aiuterà la società italiana a migliorare la propria
percezione in senso non discriminatorio dell'orientamento
affettivo e sessuale e dell'identità di genere come dimensioni
essenziali della personalità di ciascun essere umano, con la
conseguente piena accettazione degli orientamenti omosessuali
come una normale variante della sessualità umana.
A tale riguardo ricorda che la recente indagine comparativa sulle
discriminazioni compiuta dalla Commissione europea nei 28 Paesi
membri (Eurobarometro 2015) evidenzia come la percezione delle
discriminazioni nella società a danno delle persone gay,
lesbiche, bisessuali o transessuali sia superiore in Italia
rispetto alla media dei 28 Paesi UE, così come le misure e le
tutele per contrastare tali discriminazioni siano percepite come
insufficienti in misura maggiore in Italia rispetto alla media UE.
In base all'indice definito dall'organizzazione non governativa
internazionale ILGA Europe, che monitora lo status legale e
sociale delle persone LGBTI in tutti i paesi del continente
europeo, sulla base di sei gruppi di indicatori (uguaglianza e
non discriminazione, diritto familiare, hate crimes e hate
speech, misure relative alle persone transessuali e intersessuali
e all'identità di genere, libertà di espressione, associazione e
di riunione, politiche di asilo), l'Italia occupa solo la 35ª
posizione tra i 49 Paesi europei, l'ultima tra i Paesi
dell'Europa occidentale e centrale.
Il Parlamento italiano è dunque chiamato a un'assunzione di
responsabilità per rispondere a una questione di civiltà e di
tutela dei diritti umani fondamentali che richiama ai principi di
uguaglianza, non discriminazione e rispetto della pari dignità
sociale.