CR per 40° terremoto: intervento presidente Mattarella (5)
(ACON) Udine, 6 mag - COM/AB - Ultimo intervento, quello del
presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
"Ciascun popolo porta nel proprio intimo i segni della propria
storia: gioie, dolori, gesti di coraggio, errori. E' la
autobiografia di ciascuno e vale per le prove che abbiamo
affrontato e vissuto: Vajont, Belice, Friuli, Irpinia e
Basilicata, Umbria e Marche, Emilia Romagna, sono alcune fra le
tante ferite che negli ultimi decenni hanno colpito il nostro
Paese.
Siamo qui, oggi, a fare memoria di una di quelle ferite, quel
terremoto che ha colpito, per due volte di seguito, Comuni e
popolazioni in Provincia di Udine e di Pordenone, lasciando una
scia di morti e di distruzioni immani.
Un dolore che non potrà mai essere colmato.
La sfida lanciata dalla natura ha colpito una terra da sempre
porta aperta verso l'Italia. Vi sono state sofferenze che, in
passato, hanno contribuito all'ulteriore impoverimento
dell'Italia: la miseria, in alcune aree, spingeva alla migrazione
in altri Paesi d'Europa e oltre Oceano, con un ulteriore
dissanguamento di queste terre.
Non sembrava esserci alternativa per il futuro dei propri figli.
Di quegli esodi sono testimonianza le prospere comunità friulane
insediate all'estero, raccolte nei Fogolars Furlans.
E' la volontà degli uomini che provoca la differenza.
Questa la lezione è stata orgogliosamente affermata dal popolo
italiano, qui e all'estero. Questa la lezione che le popolazioni
del Friuli ci hanno dato più volte: rialzarsi e ripartire.
Dopo la Prima Guerra mondiale combattuta in queste contrade. Dopo
i terremoti del 1976. Avanti verso un "Friuli nuovo" eppure
sempre con la sua forte identità. Conferma che le prove della
vita esaltano i valori positivi delle persone e delle comunità e
le proiettano verso traguardi più ambiziosi.
Da un grande disastro naturale - osservava il presidente Ciampi -
alla rampa di decollo di una crescita che ha portato alla
affermazione di un modello socio-economico comune al Triveneto;
in quel Nord Est così capace di innovazione e di
internazionalizzazione.
Tutta l'Italia è stata al fianco del Friuli in questa opera.
L'amicizia, l'affetto, che manifestate nei confronti di Giuseppe
Zamberletti, ne è la prova più evidente.
La solidarietà internazionale ha accompagnato nei momenti
dell'emergenza questa regione. Ma i protagonisti assoluti sono
stati gli abitanti delle zone colpite, con i loro amministratori,
comunali e regionali, a partire da Antonio Comelli, grande figura
alla quale abbiamo intitolato oggi questo auditorium.
Quasi mille vittime, colpiti anche i soccorritori, soldati,
vigili del fuoco. Protagonisti del soccorso anche i volontari,
giovani e meno giovani che, come in tante altre situazioni, hanno
evidenziato i tratti migliori del carattere italiano:
l'altruismo, la gratuità, la solidarietà. Un'intera società
civile che, nelle sue mille articolazioni, si è mobilitata: i
radioamatori con la loro rete, entrata immediatamente in
funzione, dentro la zona terremotata, per fornire preziose
indicazioni là dove le telecomunicazioni avevano subito danni.
Il punto di partenza di quello che poi sarebbe stato acquisito
come "modello Friuli": un soccorso, nell'immediato, basato su una
informazione capillare, dal basso, paese per paese, parrocchia
per parrocchia, in grado di mettere a frutto gli importanti
assetti messi in campo dai vigili del fuoco, dalle Forze armate,
dalle forze di Polizia sin dalle prime ore del dopo terremoto
(penso a Sandro Giomi che ha lasciato traccia, in un piccolo
libro, ricordando diario di quei giorni). Quasi 900 vigili del
fuoco all'opera il 7 maggio. Cinquemila gli uomini dell'Esercito,
in quel primo giorno.
Dal soccorso si è passati alla stabilizzazione e, quindi, alla
ricostruzione. Nessuna opera dell'uomo è casuale: dietro ciascuna
scelta vi è sempre una riflessione, il soppesare il pro e il
contro, il definire gli obiettivi da raggiungere.
Scelte tanto più difficili quando riguardano, come in questo
caso, centinaia di migliaia di persone, 119 Comuni.
La rincorsa perenne tra innovazione e conservazione ha spostato,
allora, per una volta, l'asticella al di fuori del tradizionale
contrasto. Certo, furono utili le lezioni apprese altrove e, a
fare da monito, venne anche la seconda tremenda scossa del 15
settembre. La volontà forte delle istituzioni locali, dei sindaci
dell'epoca in prima linea, di salvaguardare l'identità dei luoghi
fu all'origine di un cambio radicale.
Il "dove era, come era", rompendo anche tanti paradigmi
dell'accademia, restituiva al popolo friulano le chiavi del
proprio destino. La consapevolezza che sarebbe stato un grave
errore rompere un tessuto sociale già tanto provato, è stata in
quei giorni all'origine di decisioni davvero sagge e che,
inevitabilmente non sempre comprese, recarono sicuramente
amarezze al presidente Comelli, ai suoi più stretti
collaboratori, agli assessori alla ricostruzione dell'epoca
Salvatore Varisco e poi Adriano Biasutti, gratificati
successivamente dal riconoscimento del successo della
ricostruzione.
Appartenenza al territorio, consapevolezza della propria storia e
cultura, partecipazione dal basso, orgoglio della propria
autonomia da un lato, e capacità di ascolto, di guida e di
solidarietà da parte dello Stato dall'altro, hanno consentito di
superare una drammatica distruzione e di porre le basi per un
rilancio della convivenza civile in questa regione di incontro
tra le civiltà latina, germanica e slava.
Il Friuli, regione di confine, celebra quest'anno, con il Veneto,
il 150° anniversario dell'unione al resto dell'Italia.
Il Friuli è un crocevia dell'Europa. Da qui si comprendono,
meglio che da altri luoghi, le ragioni che sorreggono la visione
di un'Europa più forte e solidale. La capacità della società
friulana di fare sistema nei suoi organi rappresentativi, nei
suoi apparati pubblici e nel coinvolgimento delle forze sociali
ha delineato un modello, a partire proprio dalla collaborazione
civile-militare, che ha ispirato ogni successivo sviluppo in
materia di Protezione civile.
Anche di questo possiamo dirci debitori.
Questa la chiave di tutto: fare ciascuno la propria parte: i
cittadini, i Comuni, la Regione, lo Stato. Queste sono virtù
civiche concrete, questo è l'autentico senso della comunità.
L'abbraccio dell'intero Paese fu immediato: dal presidente del
Consiglio Aldo Moro al ministro dell'Interno Francesco Cossiga,
sui luoghi della tragedia nelle ore immediatamente successive.
Non vi fu alcuna sottovalutazione dell'evento. Piuttosto le
modalità usuali apparvero obsolete, in affanno nel cogliere la
magnitudo di quella che si profilava come una catastrofe immane
già dai primi momenti. La popolazione di interi centri venne
dimezzata, falcidiata dalla furia del sisma: Majano, Osoppo,
Gemona. Imponente il dispositivo di emergenza messo in campo: il
10 maggio erano disponibili oltre 31.000 posti letto nelle tende
(80.000 alla fine del mese). Cinquemila roulotte, spesso rese
disponibili attraverso prestiti di solidarietà, vennero collocate
a lato dei villaggi distrutti, per consentire la continuazione
delle attività agricole e artigianali. Nell'inverno, 32.000
persone vennero ricollocate sui centri del litorale, con la
predisposizione di servizi scolastici straordinari per 3.500
alunni.
La stima del novembre del 1976 faceva ammontare i danni pubblici
e privati alla iperbolica somma di 3.500 miliardi di lire.
Vi siete rialzati, ci siamo rialzati.
Oggi, nel ricordo delle vittime e dei tanti che operarono così
bene, prendo a prestito le parole di Giuseppe Zamberletti al
termine del suo mandato, il 30 aprile del 1977: "un popolo non
muore con il crollo delle case e il Friuli è vivo perché sono
vivi i valori che ne costituiscono l'anima".
Viva il Friuli.
Viva la Repubblica.
(foto, immagini tv)
(segue)