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CR: attività estrattive, relatore minoranza Revelant (4)

06.07.2016
12:55
(ACON) Trieste, 6 lug - RCM - Ci auguravamo che questo intervento normativo potesse almeno condurre all'approvazione del Piano regionale delle attività estrattive (Prae), strumento fondamentale della pianificazione e programmazione settoriale, previsto già nel 1989 e rivisto dalla legge regionale 6/2011, portando avanti il lavoro avviato dalla Giunta Tondo, che nel 2012 aveva dato avvio al processo di valutazione ambientale strategica (Vas) del Piano regionale contestualmente al procedimento di formazione del Piano stesso.

Purtroppo - è il commento amaro del relatore di minoranza Roberto Revelant (AR) al ddl n. 146 - anche questa speranza è svanita nel momento in cui abbiamo analizzato il nuovo Prae: non pianifica; si limita a definire dei criteri senza chiarire molti aspetti e dare certezze concrete all'attività estrattiva e di valorizzazione della risorsa mineraria; rischia di creare una impasse con ripercussioni negative sul mondo economico delle attività estrattive e di aumentare di fatto quella disomogeneità territoriale che già sta caratterizzando il nostro territorio, anche perché i poteri sostitutivi previsti dall'articolo 28 non saranno in grado di fornire alla Regione un dispositivo efficace di gestione e programmazione sovracomunale.

La Giunta regionale ha deciso di non scegliere: poteva affrontare il problema definendo le aree al negativo, individuando pertanto solo le zone in cui l'attività estrattiva è vietata e consentendo per differenza, senza vincoli preclusivi, l'estrazione nelle aree esterne a quelle puntualmente definite. Tale soluzione - ha sostenuto Revelant - garantirebbe una maggior tutela ambientale in quanto individuerebbe i siti ove comunque non si scava.

Il consigliere dà, comunque, atto alla Giunta regionale di aver voluto privilegiare e promuovere il recupero ambientale delle cave dismesse. Tuttavia, questa interessante previsione manca di conoscenza dello stato di fatto. Il disegno di legge, infatti, privilegia le autorizzazioni nelle cave dismesse senza aver ancora concluso la mappatura delle stesse. Arriva, nel periodo transitorio in attesa dell'approvazione del Prae, addirittura a prevedere la sola autorizzazione all'esercizio dell'attività estrattiva nelle aree di cava dismessa, senza conoscere lo stato delle cave dismesse rispetto il contesto ambientale, ovvero le volumetrie ancora estraibili, quanti progetti sono conclusi o ancora lo stato della vegetazioni che, se già ricresciuta, potrebbe rendere inopportuno un ripristino dell'attività. Le cave dismesse non sono una proprietà pubblica disponibile da mettere a gara, ma sono siti di proprietà privata e promuovendo la loro riapertura, seppur con finalità di recupero ambientale, rischiamo di innescare una speculazione immobiliare ai danni degli operatori del comparto.

Ci si dimentica inoltre - prosegue Revelant - che le cave dismesse non sono quelle ove non è stata prestata la fideiussione, ma quello ove l'obbligo del recupero permane a carico dei privati che sono stati autorizzati e che hanno percepito i relativi benefici economici. Ebbene queste cave sono tutte quelle autorizzate dopo il 1986. Con la legge ora all'esame si va, quindi, a generare un ulteriore vantaggio economico per coloro che non hanno adempiuto ai loro doveri di recupero ambientale.

Sarebbe stato auspicabile, inoltre, trattare fin dalla prima stesura pietre ornamentali, calcari e gessi, argille, ghiaie e sabbie in capitoli diversi e con aspetti normativi ad hoc per ciascuna risorsa, in quanto diverse sono spesso le procedure, i trattamenti, gli utilizzi e i rendimenti delle sostanze minerali.

Desta inoltre preoccupazione l'inserimento di previsioni normative afferenti ad altro ambito: non comprendiamo l'equiparazione del materiale litoide estratto in alveo alle sostanze minerali disciplinate dal ddl, e i limiti all'estrazione di ghiaie in cava che questa equiparazione porta con sé.

Il disegno di legge rischia nel breve periodo di mettere in ginocchio un settore già profondamente in crisi, costringendo il comparto edile ad approvvigionarsi nella vicina Slovenia. Modifichiamo, invece, la norma transitoria per assicurare al sistema produttivo una fonte di approvvigionamento e poniamole un limite di 12 mesi; ridefiniamo i canoni di estrazione affinché diventino un reale metodo di indennizzo per i Comuni, ma senza penalizzare l'imprenditore.

(immagini tv)

(segue)