CR: attività estrattive, relatore minoranza Revelant (4)
(ACON) Trieste, 6 lug - RCM - Ci auguravamo che questo
intervento normativo potesse almeno condurre all'approvazione del
Piano regionale delle attività estrattive (Prae), strumento
fondamentale della pianificazione e programmazione settoriale,
previsto già nel 1989 e rivisto dalla legge regionale 6/2011,
portando avanti il lavoro avviato dalla Giunta Tondo, che nel
2012 aveva dato avvio al processo di valutazione ambientale
strategica (Vas) del Piano regionale contestualmente al
procedimento di formazione del Piano stesso.
Purtroppo - è il commento amaro del relatore di minoranza Roberto
Revelant (AR) al ddl n. 146 - anche questa speranza è svanita nel
momento in cui abbiamo analizzato il nuovo Prae: non pianifica;
si limita a definire dei criteri senza chiarire molti aspetti e
dare certezze concrete all'attività estrattiva e di
valorizzazione della risorsa mineraria; rischia di creare una
impasse con ripercussioni negative sul mondo economico delle
attività estrattive e di aumentare di fatto quella disomogeneità
territoriale che già sta caratterizzando il nostro territorio,
anche perché i poteri sostitutivi previsti dall'articolo 28 non
saranno in grado di fornire alla Regione un dispositivo efficace
di gestione e programmazione sovracomunale.
La Giunta regionale ha deciso di non scegliere: poteva affrontare
il problema definendo le aree al negativo, individuando pertanto
solo le zone in cui l'attività estrattiva è vietata e consentendo
per differenza, senza vincoli preclusivi, l'estrazione nelle aree
esterne a quelle puntualmente definite. Tale soluzione - ha
sostenuto Revelant - garantirebbe una maggior tutela ambientale
in quanto individuerebbe i siti ove comunque non si scava.
Il consigliere dà, comunque, atto alla Giunta regionale di aver
voluto privilegiare e promuovere il recupero ambientale delle
cave dismesse. Tuttavia, questa interessante previsione manca di
conoscenza dello stato di fatto. Il disegno di legge, infatti,
privilegia le autorizzazioni nelle cave dismesse senza aver
ancora concluso la mappatura delle stesse. Arriva, nel periodo
transitorio in attesa dell'approvazione del Prae, addirittura a
prevedere la sola autorizzazione all'esercizio dell'attività
estrattiva nelle aree di cava dismessa, senza conoscere lo stato
delle cave dismesse rispetto il contesto ambientale, ovvero le
volumetrie ancora estraibili, quanti progetti sono conclusi o
ancora lo stato della vegetazioni che, se già ricresciuta,
potrebbe rendere inopportuno un ripristino dell'attività. Le cave
dismesse non sono una proprietà pubblica disponibile da mettere a
gara, ma sono siti di proprietà privata e promuovendo la loro
riapertura, seppur con finalità di recupero ambientale, rischiamo
di innescare una speculazione immobiliare ai danni degli
operatori del comparto.
Ci si dimentica inoltre - prosegue Revelant - che le cave
dismesse non sono quelle ove non è stata prestata la
fideiussione, ma quello ove l'obbligo del recupero permane a
carico dei privati che sono stati autorizzati e che hanno
percepito i relativi benefici economici. Ebbene queste cave sono
tutte quelle autorizzate dopo il 1986. Con la legge ora all'esame
si va, quindi, a generare un ulteriore vantaggio economico per
coloro che non hanno adempiuto ai loro doveri di recupero
ambientale.
Sarebbe stato auspicabile, inoltre, trattare fin dalla prima
stesura pietre ornamentali, calcari e gessi, argille, ghiaie e
sabbie in capitoli diversi e con aspetti normativi ad hoc per
ciascuna risorsa, in quanto diverse sono spesso le procedure, i
trattamenti, gli utilizzi e i rendimenti delle sostanze minerali.
Desta inoltre preoccupazione l'inserimento di previsioni
normative afferenti ad altro ambito: non comprendiamo
l'equiparazione del materiale litoide estratto in alveo alle
sostanze minerali disciplinate dal ddl, e i limiti all'estrazione
di ghiaie in cava che questa equiparazione porta con sé.
Il disegno di legge rischia nel breve periodo di mettere in
ginocchio un settore già profondamente in crisi, costringendo il
comparto edile ad approvvigionarsi nella vicina Slovenia.
Modifichiamo, invece, la norma transitoria per assicurare al
sistema produttivo una fonte di approvvigionamento e poniamole un
limite di 12 mesi; ridefiniamo i canoni di estrazione affinché
diventino un reale metodo di indennizzo per i Comuni, ma senza
penalizzare l'imprenditore.
(immagini tv)
(segue)