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CR: attività estrattive, relatore minoranza Sergo (5)

06.07.2016
13:10
(ACON) Trieste, 6 lug - RCM - Obsoleta, per il secondo relatore di minoranza, Cristian Sergo (M5S), non è solo la normativa di settore, ma anche lo stesso modello economico, produttivo e di sviluppo di riferimento, che risulta ormai non più adeguato alla realtà e alle esigenze di cittadini e territorio.

Con questa riforma, a suo dire, la Regione intende assicurare un ordinato svolgimento dell'attività estrattiva delle sostanze minerali cosiddette "di seconda categoria" come disciplinate dallo Stato, in coerenza con gli obiettivi della pianificazione territoriale e di sviluppo dell'economia, nonché nel rispetto dei valori ambientali, della tutela del paesaggio, della riduzione del consumo del suolo e della sostenibilità dell'attività estrattiva per tipologia e quantità di sostanza minerale, rispetto alle caratteristiche del territorio regionale. Nulla di più condivisibile, se non fosse che diverse disposizioni del disegno di legge si pongono in apparente contrasto con gli stessi principi ispiratori.

Come nel caso della legge regionale 11/2015 in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque, scritta prima dell'approvazione definitiva del Piano regionale tutela acque, anche il ddl 146 è presentato prima dell'approvazione del Piano regionale delle attività estrattive: una scelta incomprensibile.

In questi sei anni, si sono autorizzate nuove escavazioni senza avere contezza del fabbisogno regionale e della disponibilità dei territori, ovvero delle autorizzazioni in essere. A titolo esemplificativo, Sergo ha evidenziato il dato inerente le pietre ornamentali: a fronte di un complessivo volume autorizzato di 7,6 milioni di metri cubi di scavi, al 1 gennaio 2014 ne risultavano ancora disponibili 7,1 milioni; su 29 cave, due sono state autorizzate nel 2013, mentre oltre la metà era stata autorizza da più di dieci anni, a fronte di un escavo complessivo nel 2013 di 118 mila metri cubi. Con questo ritmo, prima di esaurire tutto il volume che è stato autorizzato in passato dovrebbero passare quasi 60 anni. E i dati si riferiscono a gennaio 2014, non tengono conto delle autorizzazioni successive.

Non si comprende come il favorire il riassetto ambientale dei luoghi si concili con l'esclusione delle escavazioni delle sostanze minerali funzionali alla realizzazione di discariche, qualora asportate dall'area di cantiere, per un volume non superiore a 30.000 metri cubi. Limite oltretutto inesistente qualora le escavazioni siano funzionali a un'opera anche privata.

Ulteriore disposizione che potrebbe generare effetti diametralmente opposti a quelli perseguiti, per Sergo è equiparare il materiale litoide estratto e asportato nell'ambito degli interventi di manutenzione degli alvei dei corsi d'acqua, alle sostanze minerali disciplinate dal ddl.

Si indica, poi, la possibilità di ottenere l'autorizzazione all'esercizio dell'attività estrattiva nelle aree di cava dismesse, anche se situate al di fuori delle zone omogenee D4, per una superficie di ampliamento non superiore al 50% della superficie dell'area di cava dismessa e, comunque, non superiore a 50.000 metri quadrati: questo mentre i criteri di individuazione di tali siti risultano tra loro incoerenti (ancorché alternativi), lasciando alla struttura ampio margine di discrezionalità tecnica che, almeno in presenza di "riconosciuta pericolosità idrogeologica" o "pericolosità potenziale del sito per la sicurezza della popolazione" andrebbe regolamentata.

E ancora, con l'approvazione di questo ddl e in attesa del Prae, non si avrà alcun testo che indichi chiaramente i criteri per la predisposizione del progetto di coltivazione e di risistemazione ambientale sia per le domande di autorizzazione in istruttoria alla data odierna, sia per quelle relative alle aree di cava dismesse. E sempre in tema di autorizzazione, non mancano le solite deroghe sparse in tutto il provvedimento, riferite dalle pietre ornamentali alle nuove autorizzazioni e ai rinnovi. E questo - ha sottolineato Sergo - perché alla Giunta come al solito manca il coraggio.

Se si può capire l'esclusione delle cave di pietra ornamentale dal divieto di attività in aree protette (dato che risultano tutte situate in zone Zps, Sic, riserve naturali o soggette a vincolo idrogeologico o paesaggistico), si capisce meno perché non si stabilisca l'esclusione delle riserve naturali, Zps e Sic dall'attività estrattiva di sabbia e ghiaia, come normato in altre regioni. O perché non si voglia prendere esempio dal Veneto, ponendo un limite percentuale allo sfruttamento di territorio comunale per l'attività estrattiva (sempre di sabbia e ghiaia), invece di equiparare il materiale litoide, estratto e asportato nell'ambito degli interventi di manutenzione degli alvei dei corsi d'acqua, alle sostanze minerali.

Il testo manca, infine, di qualsiasi previsione diretta a premiare le coltivazioni che danno luogo a ricadute socioeconomiche in una logica di filiera, ovvero alla lavorazione in loco dei materiali estratti e ai relativi vantaggi sul piano occupazionale, così come difetta di qualsiasi riferimento alla direttiva 2008/98/CE in materia di riciclo dei rifiuti inerti, nonostante si citi l'imminenza dell'obiettivo del 70% di recupero di materiali inerti da raggiungere entro il 2020.

(immagini tv)

(segue)