CR: Giorno del Ricordo, relazione Davide Rossi (2)
(ACON) Trieste, 27 feb - RCM - Dopo il presidente Iacop, a
celebrare nell'Aula del Consiglio regionale il 70esimo
anniversario della stipula del Trattato di Parigi e il Giorno del
Ricordo è stato Davide Rossi, avvocato e professore di Storia e
Tecnica delle codificazioni e costituzioni europee presso
l'Università di Trieste, ma soprattutto nipote di esuli istriani,
membro dell'Esecutivo nazionale dell'associazione Venezia Giulia
e Dalmazia (Anvgd) e componente del Consiglio di amministrazione
del Centro di documentazione multimediale della cultura giuliana,
istriana, fiumana e dalmata di Trieste.
"Personalmente - ha così sottolineato Rossi -, parlare di questi
argomenti significa dare voce e vivo ricordo alla mia famiglia,
ai miei nonni che quelle terre dovettero abbandonare per aver
salva l'esistenza e che mi hanno insegnato a crescere nel
rispetto delle proprie tradizioni, lingua e costumi, che sono
costituiti soprattutto dai luoghi, dai profumi e dai colori di
terre che non hanno più potuto vedere e che io, decenni dopo, ho
rivisto per loro, in contesti totalmente differenti".
Poco o nulla, per Rossi, gli Italiani sanno delle vicende
dell'Alto Adriatico nel Novecento: "Abbiamo dovuto attendere la
caduta del Muro di Berlino e la sapienza di uno storico di
matrice marxista - purtroppo recentemente scomparso - come
Claudio Pavone per poter aprire un dibattito scientifico
sull'argomento".
Per il professore, le associazioni che hanno portato avanti il
testimone di quegli anni "nel tempo hanno cercato anche di
aprirsi, trovando fortunatamente nuovi interlocutori in giovani
che si avvicinano a questa Storia semplicemente perché curiosi,
seppur non toccati direttamente da queste vicende, in cui anche i
discendenti di coloro che rimasero nelle proprie case in Istria,
Fiume e Dalmazia, quali ne fossero le ragioni, hanno il diritto
di essere tutelati dalla Madrepatria nella loro identità di
italiani e giudicati per quello che potranno dimostrare di fare,
non per quello che fecero i loro avi.
"Un Giorno del Ricordo, importante e necessario, ma che ancora
non è sufficiente a sanare le ferite di tanti italiani che si
sono sentiti traditi, che hanno lasciato le loro terre proprio
per rimanere italiani, optando per rimanere quello che erano.
"Italiani definiti fascisti semplicemente perché lasciavano
luoghi in cui il socialismo reale trasformava in pubblico ciò che
prima era privato, dissacrava le chiese, costringeva a parlare
lingue diverse, senza valutare le effettive motivazioni di questo
esodo che riguardava quasi 350.000 persone".
Rossi ha poi fatto presente che esattamente 70 anni fa
l'Assemblea Costituente lavorava a un testo che sarebbe diventato
uno dei punti di riferimento del costituzionalismo europeo, e non
solo, del secondo Novecento. Pochi, però, ricordano che "quel
fatidico 2 giugno 1946 - data in cui gli italiani furono chiamati
a scegliere tra mantenere l'assetto istituzionale monarchico
oppure abbracciare la Repubblica, oltre che ad eleggere i
rappresentanti per la Costituente - tutta la XII Circoscrizione
di Trieste, della Venezia-Giulia e di Zara non poté votare,
esclusa all'ultimo momento per motivi di ordine pubblico.
"Se è vero che i partiti recuperarono molti esponenti giuliani
attraverso la loro candidatura in una sorta di listone nazionale,
è altresì vero che mancò quel rapporto diretto tra il
rappresentante e l'elettore, quell'elemento fiduciario,
oltretutto in un momento così delicato, che è alla base di ogni
mandato politico. E tale condizione non fece altro che aumentare
quello iato tra la Storia nazionale e la Storia del confine
orientale, sempre più percepita come una vicenda marginale,
localistica, quasi non rientrante nel patrimonio culturale
italiano, relegata all'interesse di pochi.
"Il Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947 - ha proseguito Rossi
- avrà un acre sapore di sconfitta, in cui l'Italia dovrà subire
risoluzioni poco condivise e che vedevano perdere la sovranità
dei territori coloniali, di alcuni piccoli Comuni del confine
occidentale, ma soprattutto dell'Istria, di Fiume, del Carso
triestino e goriziano, la piccola provincia di Zara, oltre alla
creazione del Territorio Libero di Trieste, sotto l'egida
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
"Il prezzo maggiore del carattere punitivo comminato all'Italia
intera fu pagato proprio dagli italiani del confine orientale
che, dopo aver patito le violenze delle foibe e delle
deportazioni (ottobre 1943 - maggio 1945, non a caso in
concomitanza con due momenti fondamentali quali la data
dell'Armistizio dell'8 settembre 1943 e quella della Liberazione
del 25 aprile 1945), quindi con l'esilio, infine con la beffa dei
beni nazionalizzati e utilizzati dallo Stato italiano per pagare
il debito di guerra con Belgrado, con le promesse di un equo
indennizzo la cui attesa dura tutt'ora, lasciando aperta una
ferita mai rimarginata.
"La Storia d'Istria, Fiume e Dalmazia è storia secolare, di
pietre che parlano italiano, di Leoni che ricordano Venezia, di
un Adriatico ponte tra Ravenna e Zara, tanto che è Dante stesso a
fissare - nel IX canto dell'Inferno - i confini italiani a 'Pola,
presso del Carnaro, ch'Italia chiude e suoi termini bagna'.
"Oggi, a settant'anni di distanza, si chiede rispetto da parte
delle istituzioni, adempimento degli accordi presi,
consapevolezza di non essere nuovamente dimenticati. Laicamente -
ha chiosato Rossi -, senza bandiere, per evitare un silenzio
generale che avrebbe il gusto di un'ennesima sconfitta. Il Giorno
del Ricordo è il momento in cui l'italianità giuliano-dalmata
chiede di ricordare le proprie vittime e un momento di
raccoglimento per commemorare le violenze che ha subito: negare,
giustificare e ridimensionare quanto patito costituisce una nuova
forma di violenza".
(foto - immagini tv)
(segue)