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CR: commemorato Giorno del Ricordo (1)

14.02.2018
10:22
(ACON) Trieste, 14 feb - AB - Il Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe dell'esodo di istriani, fiumani e dalmati, della più complessa vicenda del confine orientale nel secondo dopoguerra, istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004 per il 10 febbraio di ogni anno, è stato commemorato oggi dal Consiglio regionale, prima seduta utile.

Un intervento, quello del presidente del Consiglio regionale, che ha parlato della legge istitutiva come di un punto di arrivo di una sofferta consapevolezza civile che negli ultimi anni si è venuta consolidando nella percezione di un'ampia maggioranza di italiani. La consapevolezza che un Paese democratico deve sempre fare luce sugli aspetti, anche controversi, della propria storia è una premessa irrinunciabile se si vuole celebrare questa giornata nella pienezza dei suoi significati, riconoscendo che per troppo tempo l'orribile capitolo delle foibe e dell'esodo dall'Istria, Fiume e Dalmazia è stato nascosto al nostro Paese.

Il Giorno del Ricordo corrisponde all'esigenza di un riconoscimento umano e istituzionale che non ha nulla a che vedere con il nazionalismo, perché la memoria che coltiviamo è anche quella delle sofferenze inflitte alle Comunità slovena e croata negli anni del fascismo, ma non possiamo certo dimenticare le sofferenze, talvolta fino alla morte, inflitte a italiani immuni da ogni responsabilità se non quella di abitare in Istria e Dalmazia.

Dobbiamo rileggere un capitolo tragico del passato comune sforzandoci di interpretarlo in un contesto in cui le Repubbliche di Slovenia e di Croazia sono parte di un'Europa nella quale nessuna identità deve essere negata. Nella legge istitutiva è stata sottolineata l'importanza di rinnovare la memoria della tragedia delle vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati e della più complessa vicenda del confine orientale d'Italia.

Il Giorno del Ricordo è un'occasione per convertire la memoria di una immensa tragedia in una riflessione su come gli sviluppi maturati lascino sperare in un futuro migliore, improntato ai valori della pace, della cooperazione, privo di violenze e ingiustizie.

Dobbiamo giustamente ricordare ciò che è accaduto e non stancarci di condannare con tutto lo sdegno possibile i crimini efferati e gli orrori della guerra, delle persecuzioni, delle stragi e della pulizia etnica, consapevoli che da allora sono cambiati non solo il confine orientale, con i suoi vasti intrecci, i contatti e gli scambi fra popoli e differenti culture, valori e aspirazioni, ma tutta l'Europa, la sua storia, e ancor di più le prospettive del mondo intero.

Non si tratta di ridurre la portata di una pagina tragica della storia del Novecento, ma di fare una riflessione, con la serenità e l'oggettività che sono il vantaggio del tempo trascorso. La sfida dei nostri tempi si gioca sulla nostra capacità di investire nel futuro di noi stessi e dei nostri figli, memori di ciò che è accaduto, ma protesi a realizzare un mondo diverso, dove l'odio sia sostituito dal dialogo e dalla voglia di dialogare insieme, nel comune interesse di contribuire a scrivere una nuova pagina di terre e popoli che per secoli hanno collaborato tra loro.

Nel 1945, mentre l'Italia provava a rimettersi in piedi dopo la catastrofe della sconfitta, le popolazioni di Trieste, dell'Istria, del Quarnaro e della Dalmazia, terre italiane occupate dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito, dovevano affrontare un'ulteriore, terribile prova. I cittadini subivano torture, deportazioni o venivano uccisi, senza distinzione tra colpevoli e innocenti, assumendo a criterio di colpevolezza solo l'anticomunismo. I primi a essere ricercati, braccati e perseguitati erano coloro che in qualsiasi modo rappresentavano lo Stato italiano: sindaci, dipendenti comunali, parroci, intellettuali, medici. Senza processo, o dopo un processo-farsa, i prigionieri venivano torturati e poi, molto spesso, gettati nelle foibe. Dopo essere stati violati nella loro dignità e privati della loro identità, venivano legati con fili di ferro in modo che il primo trascinasse con sé gli altri sventurati.

Altri 350 mila italiani, in Istria, nel Quarnaro e in Dalmazia, furono costretti ad abbandonare la loro terra, i loro beni, i loro parenti e amici, e ad andare incontro a un futuro precario e incerto nei 109 campi profughi, in Italia o emigrando all'estero. Non possiamo dimenticare che gli esuli hanno vissuto un duplice dramma: quello di essere stati costretti ad abbandonare la propria casa e quello, avvenuto subito dopo, di essere accolti con indifferenza da quella stessa Italia nel cui abbraccio solidale avevano sperato.

Nel 2007 Giorgio Napolitano, dopo la visita alla foiba di Basovizza, segnando il passo fatto dai Presidenti della Repubblica Cossiga e Scalfaro, ruppe la cortina del silenzio affermando che "per troppo tempo era stata negata la verità per pregiudizi ideologici".

Queste cose non possono essere dimenticate, né possono essere giustificate, ma dobbiamo anche cercare di capire come siano potute succedere. La Jugoslavia di Tito era considerata strategica per le potenze vincitrici occidentali, perché s'interponeva fra l'Occidente e l'Unione Sovietica; l'Italia fascista, portando la guerra nei Balcani, aveva provocato odio e contrapposizione al punto che i partigiani comunisti nutrivano verso gli italiani sentimenti di vendetta. I comunisti italiani dal canto loro preferivano negare l'evidenza perché non accettavano che la Liberazione avesse portato con se anche situazioni così tragiche. Così è purtroppo rimasto nascosto un buco nero: quello dell'eccidio più grande e sconvolgente mai avvenuto nella storia recente d'Italia.

Con il voto del Parlamento del 2004, la Repubblica non ha voluto dimenticare, per affrontare in maniera condivisa le cause e la responsabilità di quanto è accaduto e di superare tutte le barriere di diversità e discriminazione.

Noi oggi ricordiamo le vittime delle foibe, l'esodo giuliano-dalmata e le vicende del confine orientale, anche per dovere nei confronti dei superstiti, dei familiari delle vittime, delle Associazioni che coltivano la memoria di quelle tragedie personali e collettive.

La storia degli ultimi 70 anni ha posto le premesse per ricucire le lacerazioni grazie al consolidamento del processo di integrazione europea e in questo contesto la nostra regione può svolgere un ruolo importante e avere una funzione determinante nel rafforzamento delle relazioni con i Paesi dei Balcani.

La Slovenia e la Croazia sono entrate a fare parte dell'Unione europea e questo ha avuto un peso nel superamento delle barriere ideologiche all'interno di un contesto, quello dell'Unione, che è per sua natura fondato sul rispetto delle diversità e sullo spirito di convivenza e reciproco scambio fra etnie, culture e lingue diverse. Le nuove generazioni slovene, croate e italiane si riconoscono in una comune appartenenza europea che arricchisce le rispettive identità nazionali e questo scenario è un primo passo per costruire un futuro dove la violenza, la discriminazione e l'odio siano solo un doloroso ricordo.

Significa uscire dallo stato di angoscia che deriva dal fatto di restare con lo sguardo alla pagina più nera della nostra storia recente, per concentrarci nella scrittura di altre pagine, dove non si parla più di violenza e vendetta, ma di pace, di crescita, di sviluppo, di cooperazione, con riferimento al cammino di popoli e di individui fra loro diversi, che hanno diluito il loro essere Italiani, Sloveni, Croati nell'acquisizione graduale di una nuova identità collettiva che consente a noi tutti di sentirci Europei.

L'Aula ha quindi rispettato un minuto di raccoglimento.

(immagini tv)

(segue)