CR: commemorato Giorno del Ricordo (1)
(ACON) Trieste, 14 feb - AB - Il Giorno del Ricordo in memoria
delle vittime delle foibe dell'esodo di istriani, fiumani e
dalmati, della più complessa vicenda del confine orientale nel
secondo dopoguerra, istituito con la legge n. 92 del 30 marzo
2004 per il 10 febbraio di ogni anno, è stato commemorato oggi
dal Consiglio regionale, prima seduta utile.
Un intervento, quello del presidente del Consiglio regionale, che
ha parlato della legge istitutiva come di un punto di arrivo di
una sofferta consapevolezza civile che negli ultimi anni si è
venuta consolidando nella percezione di un'ampia maggioranza di
italiani. La consapevolezza che un Paese democratico deve sempre
fare luce sugli aspetti, anche controversi, della propria storia
è una premessa irrinunciabile se si vuole celebrare questa
giornata nella pienezza dei suoi significati, riconoscendo che
per troppo tempo l'orribile capitolo delle foibe e dell'esodo
dall'Istria, Fiume e Dalmazia è stato nascosto al nostro Paese.
Il Giorno del Ricordo corrisponde all'esigenza di un
riconoscimento umano e istituzionale che non ha nulla a che
vedere con il nazionalismo, perché la memoria che coltiviamo è
anche quella delle sofferenze inflitte alle Comunità slovena e
croata negli anni del fascismo, ma non possiamo certo dimenticare
le sofferenze, talvolta fino alla morte, inflitte a italiani
immuni da ogni responsabilità se non quella di abitare in Istria
e Dalmazia.
Dobbiamo rileggere un capitolo tragico del passato comune
sforzandoci di interpretarlo in un contesto in cui le Repubbliche
di Slovenia e di Croazia sono parte di un'Europa nella quale
nessuna identità deve essere negata. Nella legge istitutiva è
stata sottolineata l'importanza di rinnovare la memoria della
tragedia delle vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre
di istriani, fiumani e dalmati e della più complessa vicenda del
confine orientale d'Italia.
Il Giorno del Ricordo è un'occasione per convertire la memoria di
una immensa tragedia in una riflessione su come gli sviluppi
maturati lascino sperare in un futuro migliore, improntato ai
valori della pace, della cooperazione, privo di violenze e
ingiustizie.
Dobbiamo giustamente ricordare ciò che è accaduto e non stancarci
di condannare con tutto lo sdegno possibile i crimini efferati e
gli orrori della guerra, delle persecuzioni, delle stragi e della
pulizia etnica, consapevoli che da allora sono cambiati non solo
il confine orientale, con i suoi vasti intrecci, i contatti e gli
scambi fra popoli e differenti culture, valori e aspirazioni, ma
tutta l'Europa, la sua storia, e ancor di più le prospettive del
mondo intero.
Non si tratta di ridurre la portata di una pagina tragica della
storia del Novecento, ma di fare una riflessione, con la serenità
e l'oggettività che sono il vantaggio del tempo trascorso. La
sfida dei nostri tempi si gioca sulla nostra capacità di
investire nel futuro di noi stessi e dei nostri figli, memori di
ciò che è accaduto, ma protesi a realizzare un mondo diverso,
dove l'odio sia sostituito dal dialogo e dalla voglia di
dialogare insieme, nel comune interesse di contribuire a scrivere
una nuova pagina di terre e popoli che per secoli hanno
collaborato tra loro.
Nel 1945, mentre l'Italia provava a rimettersi in piedi dopo la
catastrofe della sconfitta, le popolazioni di Trieste,
dell'Istria, del Quarnaro e della Dalmazia, terre italiane
occupate dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito, dovevano
affrontare un'ulteriore, terribile prova. I cittadini subivano
torture, deportazioni o venivano uccisi, senza distinzione tra
colpevoli e innocenti, assumendo a criterio di colpevolezza solo
l'anticomunismo. I primi a essere ricercati, braccati e
perseguitati erano coloro che in qualsiasi modo rappresentavano
lo Stato italiano: sindaci, dipendenti comunali, parroci,
intellettuali, medici. Senza processo, o dopo un processo-farsa,
i prigionieri venivano torturati e poi, molto spesso, gettati
nelle foibe. Dopo essere stati violati nella loro dignità e
privati della loro identità, venivano legati con fili di ferro in
modo che il primo trascinasse con sé gli altri sventurati.
Altri 350 mila italiani, in Istria, nel Quarnaro e in Dalmazia,
furono costretti ad abbandonare la loro terra, i loro beni, i
loro parenti e amici, e ad andare incontro a un futuro precario e
incerto nei 109 campi profughi, in Italia o emigrando all'estero.
Non possiamo dimenticare che gli esuli hanno vissuto un duplice
dramma: quello di essere stati costretti ad abbandonare la
propria casa e quello, avvenuto subito dopo, di essere accolti
con indifferenza da quella stessa Italia nel cui abbraccio
solidale avevano sperato.
Nel 2007 Giorgio Napolitano, dopo la visita alla foiba di
Basovizza, segnando il passo fatto dai Presidenti della
Repubblica Cossiga e Scalfaro, ruppe la cortina del silenzio
affermando che "per troppo tempo era stata negata la verità per
pregiudizi ideologici".
Queste cose non possono essere dimenticate, né possono essere
giustificate, ma dobbiamo anche cercare di capire come siano
potute succedere. La Jugoslavia di Tito era considerata
strategica per le potenze vincitrici occidentali, perché
s'interponeva fra l'Occidente e l'Unione Sovietica; l'Italia
fascista, portando la guerra nei Balcani, aveva provocato odio e
contrapposizione al punto che i partigiani comunisti nutrivano
verso gli italiani sentimenti di vendetta. I comunisti italiani
dal canto loro preferivano negare l'evidenza perché non
accettavano che la Liberazione avesse portato con se anche
situazioni così tragiche.
Così è purtroppo rimasto nascosto un buco nero: quello
dell'eccidio più grande e sconvolgente mai avvenuto nella storia
recente d'Italia.
Con il voto del Parlamento del 2004, la Repubblica non ha voluto
dimenticare, per affrontare in maniera condivisa le cause e la
responsabilità di quanto è accaduto e di superare tutte le
barriere di diversità e discriminazione.
Noi oggi ricordiamo le vittime delle foibe, l'esodo
giuliano-dalmata e le vicende del confine orientale, anche per
dovere nei confronti dei superstiti, dei familiari delle vittime,
delle Associazioni che coltivano la memoria di quelle tragedie
personali e collettive.
La storia degli ultimi 70 anni ha posto le premesse per ricucire
le lacerazioni grazie al consolidamento del processo di
integrazione europea e in questo contesto la nostra regione può
svolgere un ruolo importante e avere una funzione determinante
nel rafforzamento delle relazioni con i Paesi dei Balcani.
La Slovenia e la Croazia sono entrate a fare parte dell'Unione
europea e questo ha avuto un peso nel superamento delle barriere
ideologiche all'interno di un contesto, quello dell'Unione, che è
per sua natura fondato sul rispetto delle diversità e sullo
spirito di convivenza e reciproco scambio fra etnie, culture e
lingue diverse. Le nuove generazioni slovene, croate e italiane
si riconoscono in una comune appartenenza europea che arricchisce
le rispettive identità nazionali e questo scenario è un primo
passo per costruire un futuro dove la violenza, la
discriminazione e l'odio siano solo un doloroso ricordo.
Significa uscire dallo stato di angoscia che deriva dal fatto di
restare con lo sguardo alla pagina più nera della nostra storia
recente, per concentrarci nella scrittura di altre pagine, dove
non si parla più di violenza e vendetta, ma di pace, di crescita,
di sviluppo, di cooperazione, con riferimento al cammino di
popoli e di individui fra loro diversi, che hanno diluito il loro
essere Italiani, Sloveni, Croati nell'acquisizione graduale di
una nuova identità collettiva che consente a noi tutti di
sentirci Europei.
L'Aula ha quindi rispettato un minuto di raccoglimento.
(immagini tv)
(segue)