Ita-Slo: Gabrovec (Ssk), a Boris Pahor due medaglie che curano Trieste
(ACON) Trieste, 13 lug - "Boris Pahor non ha bisogno di
medaglie. Non più. Lui le dedica ai suoi numerosi e valorosi
compagni nel viaggio della vita e, soprattutto, a quelli che non
ce l'hanno fatta, spesso stritolati nella morsa degli odii. Le
sue due medaglie servono a noi, alle nostre comunità. Servono a
Trieste, alle nostre terre per guardare avanti con fiducia e
insieme con rinnovato impegno. Due medaglie per guarire la città".
È quanto afferma in una nota il consigliere regionale e
segretario della Slovenska skupnost, Igor Gabrovec, commentando
quanto accaduto in occasione dell'odierna visita a Trieste dei
presidenti di Italia e Slovenia, Sergio Mattarella e Borut Pahor.
"Sembra quasi un allineamento astrale - evidenzia Gabrovec - che
assume sfumature diverse a seconda del punto di osservazione. La
giornata odierna ha visto Trieste e le sue due principali
comunità fare i conti con il proprio passato, dubbi mai
affrontati e reciproche diffidenze. Un balzo all'indietro per
arrivare a un secolo fa, quando le fiamme che avvolgevano il
Narodni dom di Trieste avevano rappresentato il battesimo di
sangue dell'appena emergente squadrismo fascista".
"Nemmeno il tempo per seppellire tutti i cadaveri - prosegue
l'esponente della Minoranza slovena - e le macerie della
cosiddetta Grande Guerra (ma può mai essere grande una guerra?)
che già una nuova mazzata riapriva con vigore e decisione il vaso
di Pandora dal quale i tentacoli dell'odio, della prevaricazione
feroce, dell'insofferenza e dell'intolleranza sistematica, della
sete di guerra e di morte, in pochi decenni avrebbero riconvolto
l'Italia, l'Europa e il mondo".
"Era l'attacco alla comunità slovena - aggiunge Gabrovec - in una
notte dei cristalli tutta triestina e anticipatrice di quella che
diventò poi ben più famosa. Ma la distruzione del Narodni dom era
la dichiarazione di guerra a tutto ciò che appariva diverso, non
conforme al sentire di una maggioranza e la negazione della
dignità di essere altro".
"Da lì a poco - sottolinea il consigliere - seguì la chiusura
delle scuole di lingua slovena, la liquidazione di numerose
attività economiche, la proibizione dello sloveno in pubblico, in
privato e anche nelle chiese, nonché l'italianizzazione forzata e
storpiata dei nomi sloveni. Un genocidio programmato con follia
quasi scientifica. Violenza pubblica, politica, istituzionale e
privata. Ben prima, molto prima dello scoppio della Seconda
Guerra Mondiale".
"Nel mezzo ci furono tante persone, spesso i più giovani, che
decisero di non piegarsi ad aspettare la morte politica,
culturale e nazionale. Nasceva la prima Resistenza, che alla
violenza si opponeva in modo violento. Oppure crediamo che il
fascismo avrebbe potuto essere combattuto con i sit-in o gli
scioperi della fame? È così - dettaglia il rappresentante della
Slovenska skupnost - che caddero anche i primi eroi della prima
Resistenza: per la comunità slovena, i fucilati di Basovizza in
un'alba di settembre di novant'anni fa. Furono condannati e
uccisi in seguito a un processo e una sentenza del Tribunale
speciale fascista che tutto era fuorché rispettoso dei diritti e
dei principi democratici, imparziale e giusto. Un Tribunale di
gerarchi che perpetuava e legalizzava la violenza. Furono
condannati e fucilati come terroristi, è vero. Ma la storia
insegna che erano coraggiosi combattenti, guerriglieri contro una
dittatura".
"Si arrivò alla guerra. Nuovo odio, nuove persecuzioni, nuove
violenze e nuova ingiustizia. Comprese, ultime ma non da ultime,
le esecuzioni sommarie di veri o presunti nemici politici, o
nazionali, o un mix di entrambe le inimicizie. Il dramma delle
foibe. Orrore - riporta la nota - che si sommava al precedente
orrore: nuovi lutti, nuovi risentimenti, nuovo odio. Letture e
percezioni diverse. Con, a oggi, un unico e affidabile punto
d'incontro: la relazione della Commissione istituzionale
storico-culturale italo-slovena del 2000. Non una verità di Stato
ma una base scientifica e istituzionale sì. Un testo elaborato,
concluso e pubblicato da una commissione scientifica di esponenti
sloveni e italiani che avevano lavorato, discusso, studiato su
formale incarico dei Governi italiano e sloveno per togliere la
storia dalle grinfie della politica, liberando le nuove
generazioni da fardelli ingombranti e inconcludenti".
"I fili di tante matasse vengono miracolosamente raccolti in un
solo giorno: il 13 luglio 2020. In un solo luogo: Trieste. E se
vogliamo anche in un solo uomo: il professor Boris Pahor. Un
grande vecchio, alla soglia dei 107 anni ancora nel pieno delle
sue facoltà intellettive; un testimone attivo - così lo definisce
Gabrovec - di un secolo di scontri e incontri. Un sopravvissuto
all'odio e all'intolleranza. Un figlio di nessuno che ha saputo e
voluto dire tre volte no a ogni regime illiberale. Anche a quello
comunista".
"Il 13 luglio, qui dove tutto è iniziato, due grandi presidenti a
rappresentare al massimo livello due popoli oggi vicini e amici.
A Trieste - conclude il consigliere regionale - per apporre un
sigillo di garanzia alla restituzione del Narodni dom alla
comunità che lo aveva voluto ed edificato. A Trieste per
omaggiare due luoghi che le due comunità hanno negli anni eletto
a sedi privilegiate delle rispettive sofferenti memorie. A
Trieste per conferire le massime onorificenze all'uomo che ha
voluto impersonificare la vittoria contro il male del Novecento".
ACON/COM/db-fc