Giorno Memoria: Pahor, nei campi di concentramento si moriva di fame
(ACON) Trieste, 1 feb - Ad agosto, lo scrittore sloveno di
cittadinanza italiana Boris Pahor compirà 108 anni, ma il suo
ricordo del tempo vissuto nei lager non si è affatto sbiadito.
"Entrare nei campi di concentramento tedeschi era una condanna a
morte, loro non lo dicevano però la verità è che si moriva, e
prima di tutto per fame", afferma lucidissimo nella
videointervista rilasciata per la Giornata della Memoria
celebrata in Consiglio regionale, a Trieste, in occasione della
prima seduta d'Aula del 2021.
Nel 1944 fu catturato dai nazisti e internato per oltre due anni
in vari campi di concentramento, in Francia e in Germania
(Natzweiler, Markirch, Dachau, Nordhausen, Harzungen,
Bergen-Belsen).
"Insieme alla fame, c'era il lavoro obbligatorio, dalle 6 alle 12
e dalle 13 alle 18. A pranzo avevamo del brodo che era piuttosto
dell'acqua calda, invece alla sera ci davano un tozzo di pane che
doveva bastare sino al giorno dopo", ricorda Pahor.
"A Bergen-Belsen sono arrivato con altri prigionieri, stipati su
sei vagoni, dopo tre giorni e quattro notti di viaggio, senza
nulla da mangiare né da bere. Alcuni arrivarono già morti. A
Dachau invece - prosegue il suo racconto - sono stato fatto
infermiere, ero un aiuto per i malati ma anche per portare i
morti nella stufa dove poi bruciavano i corpi".
Pahor parla anche del periodo della post-liberazione, quando lo
stomaco non era più abituato a ricevere cibo e prima di
riprendersi gli ci vollero quattro mesi. Infine si dice grato di
essere oggi ancora in discreta salute perché desidera "scrivere
ancora un paio di articoli su quanto accaduto e parlare di ciò
che si può fare, perché si può fare ancora molto".
ACON/RCM-fc