Al Convegno "Friuli 10 anni", che le Charitas organizzarono il primo marzo 1986 a Gemona, Antonio Comelli ripercorse
i momenti più difficili dell'emergenza esaminando i rapporti tra Chiesa friulana e scelte della dirigenza regionale.
In particolare si soffermò su tre episodi: la visita di Andreotti alla caserma "Goi" di Gemona del 4 settembre 1976,
il libro di Robi Ronza Friuli dalle tende al deserto? (Milano, 1976), l'Assemblea dei cristiani che si tenne a Udine il 17, 18,19 giugno 1977.
II problema che intendeva sollevare da questi punti di vista era rivolto a chiarire come gli uomini politici di cui era a capo mai
fossero stati insensibili alle sofferenze del popolo delle tende, come i dirigenti della Democrazia Cristiana in specie avessero
sempre riconosciuto il ruolo svolto dalla Chiesa a favore della comunità disastrata. Segnalava inoltre gli attacchi di una
spregiudicata informazione, le continue e ingiuste notizie diffamatorie.
Il primo fatto che Comelli rievocò è il più importante per il valore simbolico che il gesto di monsignor Alfredo Battisti
ancora riveste agli occhi dell'opinione pubblica, soprattutto friulana.
Il vescovo di Udine, invitato dal presidente dell'ANA, si apprestava a incontrare l'onorevole Andreotti presso la caserma "Goi"
quando fu fermato da un assembramento di dimostranti che chiedevano la sua solidarietà e di poter parlare con il Presidente del
Consiglio. Poichè gli ufficiali non concedevano l'ingresso alla delegazione che avrebbe dovuto accompagnarlo, Battisti si
rifiutò di entrare e restò con i manifestanti al cancello.
Comelli sostenne che Andreotti e il presidente dell'ANA non furono informati della richiesta di Battisti e ribadì: "Io lo posso
affermare, perchè durante tutto lo svolgersi della cerimonia sono stato vicino ai due".
Un ulteriore riesame di quegli eventi pare inutile perchè dovrebbe ormai fondarsi su mere ipotesi e dubbiose congetture. è
certo invece che la "Vita cattolica" presentò la scelta del vescovo come volontà di stare con gli ultimi, di condividere
le loro richieste. Parlò quindi di 'incontro mancato' e "occasione perduta" pur non esasperando – come sostennero altri
cattolici – la separazione della Chiesa dalle forze politiche, dalla Democrazia Cristiana in specie.
Nel novembre 1976 Robi Ronza, nel clima di tensione e di paure che lo squilibrio tra domanda sociale e risposta istituzionale veniva generando
nelle fasi cruciali dell'emergenza, pubblicò Friuli dalle tende al deserto? Scena e retroscena di una ricostruzione mancata (Milano, 1976).
L'intento scandalistico è già chiaro nel sottotitolo. Nella "cronaca degli avvenimenti", vale a dire nel primo e
ultimo capitolo del volume sono elencate le occasioni di conflitto con la classe dirigente che agitarono i paesi terremotati dal 6 maggio al
30 settembre 1976. Ritardi e inadempienze dello Stato, della Regione, dei sindaci sono puntualmente annotati senza tuttavia che i fatti
deprecati siano inseriti in valutazioni d'insieme e senza avanzare coerenti alternative alle scelte "ufficiali".
Il Coordinamento delle Tendopoli, in larga misura espressione anche di gruppi della sinistra extraparlamentare, divenne a Gemona una sorta di
amministrazione comunale parallela. L'idea di gestire dal basso la ricostruzione e di costruire al contempo una nuova forma di convivenza civile
partiva dal presupposto che la catastrofe avesse creato le condizioni per riscrivere le regole della vita in comune. La sistematica mobilitazione
dei senzatetto organizzata dal Coordinamento culminò con la manifestazione a Trieste del 16 luglio 1976. Nello stesso giorno in aperta
polemica si tenne un "comizio" a Udine sulla ricostruzione, cui parteciparono la sinistra ufficiale e i sindacati. L'egemonia dei
gruppi dell'estrema sinistra sul popolo delle tende cominciò il suo declino quando il "compromesso sismico", vale a dire
l'incontro della Democrazia Cristiana con il Partito Comunista, sostenne gli interventi immediati di Zamberletti e collaborò
alle decisioni della Regione.
Comelli affrontò infine il problema dei rapporti del suo partito con la Chiesa concentrando la sua attenzione sull'Assemblea dei
cristiani che nel giugno del 1977 aveva esaminato da più punti di vista il problema della ricostruzione.
La ricostruzione-rinascita del Friuli – secondo Battisti – imponeva alla Chiesa locale di diventare la coscienza critica, l'animatrice di
tutto il popolo friulano in un clima di verità, libertà e carità. Di qui il dovere di segnalare errori, ritardi, eccessi,
deformazioni, silenzi, omissioni e soprusi. Di qui l'impossibilità di identificarsi con una precisa forza politica, l'obbligo di accettare
con tutti un "vero dialogo" nella consapevolezza che gli altri ci possono sempre arricchire.
Comelli riconobbe nell'Assemblea un momento di grande partecipazione e viva tensione, ma ritenne che non fosse giusto separare la classe
politica dal popolo in sofferenza. In sostanza – secondo Comelli – le (differenti) posizioni della Chiesa venivano a coincidere con quelle delle
espressioni politiche ufficiali: "Dal fronte politico, a chi ha operato sul fronte ecclesiale e dell'apostolato mi sembra di poter dire che, anche
se talvolta siamo stati apparentemente divisi, abbiamo operato in unità di intenti nel sostanziale e reciproco rispetto delle rispettive
autonomie".
A due anni dal terremoto il Consiglio pastorale diocesano aveva discusso un documento su La ricostruzione delle zone terremotate del Friuli (1978)
nel quale aveva espresso un formale riconoscimento alla buona volontà di quanti, impegnati in compiti di pubbliche responsabilità,
avevano operato tra le "immani difficoltà" provocate dalla catastrofe. Di fatto aveva poi denunciato l'accentramento dei poteri
nelle mani della Giunta regionale e nella Segreteria regionale. L'aver esautorato gli enti locali – secondo il Consiglio pastorale - avrebbe
indotto tensioni al limite di rottura fra popolazioni e pubbliche amministrazioni. Per combattere il "falso unanimismo", la
supinità che avrebbe mortificato l'azione politica, sindacale, culturale di quanti invece avrebbero dovuto collaborare alla ricostruzione-rinascita,
il Consiglio intendeva perseguire il proprio "compito di coraggiosa e spesso solitaria opera di difesa dei diritti dei poveri".
Chiavola – all'unisono con Comelli – reagì agli atteggiamenti "quasi minacciosi" della controinformazione più organizzata
cercando di dimostrare come la ricostruzione vera e propria, nel maggio 1978, era già stata avviata e ormai si apprestasse a entrare in
pieno regime, come i rapporti tra sindaci e Segreteria Generale Straordinaria fossero sempre stati – almeno nella stragrande maggioranza dei
casi – "positivi e produttivi". Ciò che egli rimproverava alla "strana figura" di padre Antonio Riboldi, parroco di
Santa Ninfa in Belice, ma anche alla diffidenza della Caritas carinziana nei confronti degli enti pubblici, erano i giudizi non sufficientemente
fondati e pesantemente negativi sulle strutture amministrative della Regione e dello Stato. In particolare detestò e soffrì la
qualifica di sorestant perchè si sentiva al servizio dei terremotati e perchè non aveva mai aveva rifiutato il confronto con la gente.
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